“Stavolta perdere le elezioni per il Pd sarà veramente difficile. Ma puoi stare certo che ci proveremo fino alla fine”. Le parole del “capoccione” piddino a fanpage arrivano disturbate ma non abbastanza per non far capire che la strada di Matteo Renzi verso Palazzo Chigi è lastricata di ostacoli. Soprattutto interni, poi ci sarà da battere gli avversari “veri”: Silvio (Marina) Berlusconi e Beppe Grillo. Ma all’interno del Pd la bufera aumenta d’intensità. E la lettura delle dimissioni di Stefano Fassina che circola tra i corridoi romani è totalmente diversa rispetto a quella “ufficiale”, in realtà effettivamente inverosimile, di una reazione alla battuta “Fassina chi?” pronunciata da Renzi.
L’addio di Fassina al governo, in sostanza, sarebbe stato un gesto premeditato e tutto politico, dettato da due fattori. Il primo: la convinzione dell’ex viceministro che il prossimo maggio si voterà sia per le europee che per le politiche e che quindi la sua esperienza al governo sarebbe finita comunque molto presto (non dimentichiamo che l’ambiziosissimo Fassina si era proposto più volte come successore del Ministro, Fabrizio Saccomanni).
Il secondo (diretta conseguenza del primo): secondo Fassina, che si propone come leader della minoranza interna, ora per lui sarà più facile organizzare la “resistenza” all’avanzata dei renziani. Ma per ottenere cosa? Qui occorre tornare a farsi “illuminare” dall’ironico (ma mica tanto) esponente piddino senza peli sulla lingua: “L’obiettivo di Fassina e degli altri irriducibili è mettere in discussione la stessa candidatura a premier di Renzi, puntando invece su una riconferma di Enrico Letta. Fassina – prevede la fonte – ora che è fuori dal governo inizierà a pressare Matteo sui temi economici e sociali. Poi, al momento giusto, si porrà il problema della premiership”.
Lo statuto del Pd impone l’automatismo tra la segreteria e la candidatura a Palazzo Chigi, ma i precedenti (quanto accadde con Bersani, che accettò le primarie sconfiggendo Renzi) in teoria lasciano aperti tutti gli scenari. E se Letta portasse in dote un’alleanza con il centro (Scelta Civica e i partitini) e gli alfaniani, potrebbe avere una carta in più da giocare sul tavolo. Ma è evidente che un braccio di ferro di questo genere avrebbe conseguenze drammatiche per il Pd e sarebbe difficilissimo da vincere.
E allora? “Pensare di contrapporre Enrico a Matteo è una follia – conclude il nostro – ma ci proveranno. Così come proveranno a portare a termine l’impresa delle imprese: far perdere ancora una volta le elezioni al Pd. Magari, consegnando l’Italia a Beppe Grillo, pur di non vedere Matteo a Palazzo Chigi”. Matteo chi?