Della vicenda Cancellieri – Ligresti si è detto tanto in questi giorni, al punto che alla "verifica" in Parlamento si è arrivati a carte scoperte. Nota era la posizione del ministro e la sua volontà di andare avanti previa "nuova legittimazione" dalla maggioranza, chiaro era l'orientamento di Partito Democratico, Scelta Civica e Popolo della Libertà, conosciute le perplessità di Lega Nord e Sinistra Ecologia e Libertà e altrettanto chiara la volontà del Movimento 5 Stelle di distinguersi calcando la mano sui "rapporti di potere all'interno del Sistema". Insomma, le comunicazioni in Parlamento del ministro della Giustizia sono sembrate un semplice atto formale per mettere la pietra tombale sulla vicenda, niente di più.
Certo, c'è stata una leggera, leggerissima ammissione di colpa del ministro. Non nel merito delle azioni intraprese, visto che Cancellieri ha ribadito di aver agito "secondo le procedure" e senza che il suo intervento avesse alcun tipo di effetto diretto sull'assegnazione ai domiciliari di Giulia Ligresti, "decisione indipendente della magistratura torinese e autonoma valutazione della Procura". Non sulla situazione dei detenuti italiani (sulla quale peraltro spesso la Cancellieri si è espressa) e sui limiti del sistema carcerario italiano, visto che per il ministro "il destino delle singole persone non dipende da circostanze fortuite, poiché il sistema carcerario risponde in maniera puntuale e seria a situazioni gravi dei detenuti, con segnalazioni sia dall'interno della struttura carceraria che dall'esterno". Non sui rapporti più o meno alla luce del sole tra politica e finanza, visto che la Cancellieri considera una infamia al suo onore l'ipotesi che la sua "personale amicizia con Antonino Ligresti abbia influito nella vicenda" e ritiene doveroso ribadire di essere "una persona libera che non ha contratto debiti di riconoscenza con nessuno". Non, infine, sulla "giustizia a due velocità" e sul carattere tutto italiano di utilizzare la corsia preferenziale della conoscenza diretta di funzionari, burocrati, politici per supplire a presunte lentezze e disfunzioni procedurali.
No, la colpa che il ministro si addossa è quella dell'empatia. La Cancellieri (spalleggiata poi da Luigi Zanda, capogruppo democratico al Senato) riconosce infatti che "il tono della telefonata fatta a Gabriella Fragni poteva essere equivocato", poiché alla vicinanza empatica per una vicenda di dolore personale sarebbe stato meglio "far prevalere quel sentimento di distacco che forse impone il ruolo di ministro". Insomma, è l'aver equivocato il tono che ha fatto partire tutto. Nient'altro. E noi che invece ne avevamo fatto per giorni una questione di sostanza, di rispetto, quasi una scelta di campo. Da una parte chi, come Alessandro Gilioli, aveva messo in luce "l’immagine di un’Italia, di una politica e di una democrazia basata sulle relazioni personali, sulla protezione reciproca fra i membri di un establishment, sull’intreccio fra potenti, sul privilegio che sostituisce i diritti", dall'altra il fronte composito dei "realisti", di quelli che si attengono "ai fatti e non al modo in cui ci si arriva" e che considerano le cose "nella loro complessità e non secondo un assurdo manicheismo delle opinioni", negando qualunque corsia preferenziale e facendone una questione di garantismo ed umanità.
Garantismo che non c'entra nulla, lo dice il ministro. Così come non c'entrano i rapporti personali, sempre parole del ministro. È un incidente di percorso nella prassi consolidata dell'interessamento del ministro della Giustizia sulle condizioni dei detenuti. Interessamento peraltro ininfluente, ancora parole del ministro. Che non sarà mai un "ministro dimezzato", ci mancherebbe. Men che meno per una vicenda in cui ha da rimproverarsi solo il tono di una telefonata.
Però la sensazione di una vicenda ridicola nel suo complesso resta. Perché tra strumentalizzazioni e propaganda (semplicemente improponibili gli interventi di Schifani e Airola), tra confusione e cerchiobottismo (qualcuno riesce ad isolare un singolo concetto espresso da Zanda in un intervento di 5 minuti?), tra decontestualizzazioni (il garantismo…) e forzature (i poteri forti…) sfuggono anche le vere incongruenze e i più semplici dati di fatto. Che poi dovrebbero portare a qualche domanda di senso magari. Sul ruolo del ministro nei singoli casi individuali, sulla necessità di un intervento legislativo, sulle condizioni dei detenuti italiani e via discorrendo. Ma questa è un'altra storia, per un altro Paese.