Il commento migliore all’esito del vertice fra i ministri degli Interni della Ue è probabilmente quello delle Nazioni Unite: “Bene il piano di ricollocamento di 40mila persone, ma una risposta coerente della Ue alla crisi rifugiati è ancora attesa con urgenza”. Insomma, come a dire: quanto deciso dalla Ue è un palliativo, necessario forse, ma non risolutivo.
Andiamo con ordine, cominciando col dire che il vertice europeo ha dato il via libera definitivo alla ricollocazione di 40mila profughi, attuando quanto deciso a giugno. In sostanza, saranno distribuite tra i Paesi membri della Ue 40mila persone, di cui 24mila attualmente ospitate in Italia e 16mila in Grecia. È una misura “temporanea” che avrà durata massima di 24 mesi che riguarderà “chi ha evidente bisogno di protezione internazionale” e viene da un Paese che “presenta un tasso medio di accettazione delle domande di protezione pari o superiore al 75%”. Ogni Paese dovrebbe ricevere un contributo di circa 6mila euro per ogni profugo ospitato.
Non si è invece raggiunto un accordo sulla ripartizione di altri 120mila profughi: c’è la nota opposizione dei Paesi dell’Est rispetto a questa misura, che per il momento resta sospesa e sarà affrontata nel vertice dell’otto ottobre; per ora, come scrive Zatterin su LaStampa, “la presidenza lussemburghese dell’Ue ha gettato la spugna per non fare notte, limitandosi a constatare che un’ampia maggioranza di Paesi era pronta ad appoggiare il principio di una redistribuzione organizzata, e non vincolante, di altri 120 mila profughi”.
Ma soprattutto non si sono registrati passi in avanti sulle vere questioni: il meccanismo di ricollocazione obbligatoria ad attivazione automatica e un programma europeo di reinsediamento dei rifugiati che tenga conto di una serie di fattori (Pil, popolazione, tasso di disoccupazione, profughi accolti in passato dal Paese ospitante).
C’è poi la questione dei rimpatri, che dovrebbero essere operati dall’Unione Europea. In pratica si immagina che per coloro che non beneficiano di alcun tipo di protezione umanitaria e non hanno i requisiti per ottenere l’asilo politico sia l’Europa a muoversi per il rimpatrio, “con i propri soldi e la propria forza”, come ha spiegato Alfano. Sulla questione specifica, il ministro dell’Interno, nel corso di una intervista ad RTL 102,5 si è detto soddisfatto della discussione di Bruxelles:
“I rimpatri devono essere operati in Europa con soldi europei e con la forza dell’Europa, perché è un conto che sia l’Italia a dove gestire con i Paesi terzi del Mediterraneo questa vicenda attraverso un accordo di riammissione con un Paese africano, un conto è che lo faccia la stessa Europa […] Per dare buoni argomenti ai Paesi africani occorrerà avviare dei programmi ulteriori di cooperazione con quelli che hanno disponibilità a darci una mano, abbiamo proposto all’ Europa di aiutare chi ci aiuta in Africa. Tu ci aiuti una mano a riprenderti i migranti che irregolarmente sono entrati nel nostro territorio? Bene, ti finanziamo un progetto, un programma di sviluppo, di modo che te li riprendi e ci aiuti a riprenderteli, ma questi stanziamenti devono essere europei, così come devono essere i fondi per quanto riguarda i rimpatri, cioè gli aerei e tutto quanto che devono essere pagati dall’Europa”.
La tempistica, però, è ancora incerta e molto dipenderà anche dalla celerità con la quale Italia, Grecia ma probabilmente anche Ungheria manterranno gli impegni presi in sede europea.
Di che si tratta? Lo spiega lo stesso Alfano: “Noi cosa apriremo? I cosiddetti ‘hot spot’ dentro i quali saranno distinti i soggetti che scappano da guerre e da persecuzioni e quindi hanno necessità di avere asilo politico da quelli che entrano in territorio europeo in modo illegale e devono essere rimpatriati […] Per essere pratici, arrivano in Italia, Italia uguale Europa, allora l’Europa ci chiedere di fare gli Hotspot per stabilire chi sì, chi no, tu sei un richiedente asilo, allora valutiamo la tua posizione e ti mettiamo in una corsia virtuale, tu invece non sei neanche richiedente asilo, sei entrato irregolarmente nel territorio nazionale ed europeo, allora ti mettiamo nella corsia dei rimpatri”.
Come evidente, si tratta di un piano “complessivo”, che non può prescindere dalla corretta applicazione delle tre misure: hotspot, ricollocazioni e rimpatri. E che per questo rischia di fallire in maniera drammatica. I ministri degli Interni Ue contano di mettere a pieno regime il sistema in un paio di mesi, ma al momento mancano passaggi essenziali, tra i quali anche la “copertura giuridica”, ovvero l’insieme di norme che dovrebbero disciplinare i vari passaggi. L’assenza di un meccanismo automatico sulle quote rischia poi di far collassare gli hotspot, con il peso che continuerebbe a gravare sui Paesi di primo approdo, nel caso in cui gli afflussi si mantengano costanti. Infine, la questione rimpatri è molto complessa: servono accordi con gli Stati africani, verifiche sul rispetto dei diritti umani, una omogeneizzazione delle procedure di richiesta e concessione di permessi umanitari fra gli Stati (il fatto che le percentuali di concessione dei permessi e degli asili siano nettamente divergenti fra i diversi Paesi Ue resta un’assurdità clamorosa) e via discorrendo. Insomma, servirà tempo. E molto anche. Sempre ammesso che il vertice di ottobre non riservi ulteriori sorprese. Per ora, accontentarsi della mancetta sulle quote, facendolo sembrare un successo, è abbastanza ridicolo.
Per tornare alla situazione italiana, c'è poi una questione essenziale: dove verranno creati gli hotspot? Alfano per ora non lo dice, perché sa benissimo quanto potrà essere complicato "convincere" i Governatori delle Regioni dell'opportunità di creare un gigantesco campo profughi, senza garanzie sulla "provvisorietà" e su rapidi meccanismi di ricollocazione. Certo, ripensare il meccanismo dell'accoglienza è necessario, ma siamo sicuri che la scelta dei campi profughi (anche abbelliti dal nome "hotspot") sia la migliore? Gli esempi, passati e presenti, di "concentramento" di profughi e migranti non sono per nulla incoraggianti e non è chiaro quale sia il modello specifico (Cie? Cda?).
Due parole, infine, sulla tanto sbandierata "operazione contro gli scafisti". In pratica si tratta della seconda fase dell'operazione EUNAVFOR MED (la prima prevedeva operazioni di intelligence con la raccolta delle informazioni sul traffico di uomini e sulla "regia" dietro gli sbarchi), avviata a giugno tra mille polemiche.
Nella sostanza le navi europee saranno autorizzate ad effettuare controlli, inseguimenti a caldo ed abbordaggi, nei limiti delle acque territoriali degli stati che aderiscono all’operazione. Il modello è quello delle azioni anti – pirateria, ed è perfettamente legale in base alle convenzioni internazionali e al diritto del mare. La stessa giurisprudenza italiana, che tiene conto del diritto internazionale, chiarisce come se “l'esercizio di attività preventive di ispezione, controllo o repressive, nonché di poteri coercitivi sulla nave (sequestro) o sull'equipaggio coinvolto nel traffico di migranti (arresto) da parte delle autorità italiane (di polizia e giurisdizionali) in linea generale è subordinato al preliminare accordo del comandante della imbarcazione o dello Stato di bandiera della nave”, allo stesso tempo quando “le competenti autorità dello Stato costiero abbiano fondati motivi per ritenere che una nave straniera abbia violato le leggi e i regolamenti dello Stato stesso”, il diritto di inseguimento a caldo consente di esercitare i conseguenti poteri coercitivi.
In poche parole: aumenteranno controlli, abbordaggi ed interventi delle navi Ue nel Mediterraneo, ma sempre senza spingersi nelle acque territoriali libiche.
Spiega infatti Cadalanu su Repubblica:
Non è previsto, com'era ovvio, nessun genere di "attacco" alle carrette dei disperati, e tanto meno un bombardamento. In più, la fase due della missione arriva fino a un limite ben evidente: le acque territoriali di Paesi sovrani e il loro territorio, in cui però le forze europee potrebbero spingersi nella "fase tre". Perché incrociatori e caccia arrivino, per esempio, fin dentro il Golfo di Sirte, perché le diverse aeronautiche dei Paesi europei possano colpire a terra i mezzi degli scafisti o perché militari europei possano metter piede sul territorio libico, servirà una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, oppure un invito preciso delle autorità libiche, o magari tutt'e due