Cambia la tassa sugli extraprofitti, le piccole banche potranno non pagarla: cosa ha deciso il governo
Dopo lunghe trattative interne, il governo Meloni avrebbe raggiunto un accordo per quanto riguarda la tassa sugli extraprofitti delle banche. Una bozza fatta circolare nelle ultime ore mostra come l'esecutivo è riuscito a conciliare le richieste di Lega e Fratelli d'Italia – che volevano mantenere la ‘linea dura' e cambiare la norma solo "a parità di gettito" – e quelle di Forza Italia, preoccupato che l'imposta fosse esagerata e danneggiasse troppo le banche.
Il testo dovrebbe essere depositato in Senato come emendamento del governo al decreto Asset, quello che contiene la tassa sugli extraprofitti. Molte delle modifiche accolgono in pieno le proposte di Forza Italia, ma non quelle che avrebbero portato un risparmio maggiore per tutte le banche. La linea è stata quella di tutelare le banche piccole e locali, anche seguendo le indicazioni della Banca centrale europea.
L'alternativa che aiuta le piccole banche: o paghi la tassa, o usi i soldi per rinforzare il patrimonio
La modifica più importante è che si prevede la possibilità di non pagare affatto l'imposta. Potranno farlo quelle banche che, se hanno avuto un "extraprofitto", prendono la stessa somma che avrebbero dovuto pagare per la nuova tassa e la mettono da parte: non la distribuiscono ai propri azionisti, come invece avviene solitamente con i profitti, ma la usano per rinforzare il proprio capitale.
Questa è una decisione che premia soprattutto le piccole banche. Infatti, per gli istituti più piccoli e legati al territorio è già piuttosto comune usare una parte degli utili per rafforzare le proprie riserve. Le banche popolari, ad esempio, sono obbligate a farlo per legge.
Oltre a proteggere le piccole banche, permettendogli di fatto di non pagare la tassa, questa modifica viene anche incontro alle richieste della Banca centrale europea. Infatti, ogni banca è obbligata ad avere un certo livello di ‘scorte‘, per garantire stabilità e poter lavorare con tranquillità, senza rischiare un tracollo in caso di crisi economiche. Ora, gli istituti più piccoli avranno un incentivo ad aumentare le proprie scorte per evitare la tassa sugli extraprofitti.
Le altre modifiche al testo, come cambia l'imposta sugli extraprofitti
Cambia anche la base su cui si calcolerà la tassa. Prima le banche dovevano pagare il 40% sul loro margine di interesse del 2022 o del 2023, a seconda di quale era più alto, mentre adesso si guarderà solo a quello del 2023. La condizione è che questo sia almeno il 10% più alto rispetto a quello del 2021, ovvero che ci sia effettivamente un "extraprofitto".
In più, prima il totale pagato non poteva essere più alto dello 0,1% del totale dell'attivo della banca. Invece, nella nuova versione il limite sarà lo 0,26% dell'attivo "medio ponderato". In pratica significa che dal conto si escluderanno i titoli di Stato. Questo potrebbe portare a una soglia di pagamento più alta o più bassa, a seconda di quanti titoli di Stato ha una banca.
Infine, c'è una lieve modifica per quanto riguarda l'utilizzo dei fondi derivati dalla tassa. Lo Stato dovrà impiegarli non solo per ridurre la pressione fiscale sulle famiglie e le aziende, ma anche per finanziare un fondo di garanzia (già esistente) che aiuta le piccole e medie imprese a ottenere prestiti dalle banche.
Quanto ci guadagna lo Stato
La questione è se gli introiti per lo Stato saranno gli stessi, come ha preteso Giorgia Meloni per dare l'ok all'emendamento. Le stime del ministero dell'Economia dicono che le entrate non dovrebbero cambiare: tra i 2,5 e i 2,7 miliardi di euro. Ma è difficile garantirlo, considerando tutte le modifiche apportate.
Anche per questo è stata scartato uno degli interventi più importanti che chiedeva Forza Italia: la deducibilità della tassa. La richiesta era che le banche che pagavano la tassa sugli extraprofitti potessero poi scalare parte della somma versata dalle altre imposte (Ires, Irap…). In pratica, lo Stato avrebbe dovuto subito rimborsare una parte delle tasse che incassava. Una soluzione inaccettabile per Lega e FdI, e che avrebbe decisamente ridotto le entrate. In ogni caso, l'accordo dovrebbe essere sufficiente perché Forza Italia ritiri tutti gli emendamenti che aveva presentato, come aveva promesso Antonio Tajani.