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Caccia F35 per l’Italia, è guerra di cifre: sono otto o sei?

Il parlamentare d Sel Marcon va in ispezione allo stabilimento di Cameri lì dove sono stati assemblati i caccia e denuncia: “Ne sono pronti non 6 ma 8”. La replica del ministero della Difesa: “Non è vero, sono solo pezzi di ricambio”.
A cura di Redazione
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Quanti saranno i caccia F35 acquistati dall'Italia, otto o sei? La guerra di cifre su una delle più contestate acquisizioni di aerei da guerra è nata oggi con le dichiarazioni del deputato Sel Giulio Marcon, al termine di una visita allo stabilimento di Cameri (NO), lì dove sono stati assemblati i caccia. "Il governo ha dichiarato il falso: non sono sei gli aerei F35 in produzione, ma otto, come abbiamo potuto verificare nella nostra visita allo stabilimento – ha accusato Marcon -. Questo è un fatto grave di cui la ministra Pinotti dovrà rispondere in Parlamento, durante la discussione per lo stop fagli F35 presentata da Sel e in discussione nei prossimi giorni alla Camera". Nel pomeriggio, arriva la replica del ministero della Difesa: "L'Italia ad oggi ha acquisito 6 velivoli F-35 (contratti del lotto 6 e 7) ed i primi quattro dei sei sono attualmente in assemblaggio a Cameri. L'Italia, quindi, non ha provveduto ad alcuna nuova acquisizione nel totale rispetto della mozione approvata dal parlamento nel giugno del 2013″. E componenti riscontrati durante la visita odierna a Cameri con l'identificativo AL-008 costituiscono le parti a lungo approvvigionamento (note come Long Lead), ordinate dall'Italia nell'agosto del 2012, dunque ben prima dell'approvazione della mozione".

Il parlamentare pacifista, invece, incalza: "La scelta degli F35 è  sbagliata: non abbiamo bisogno di aerei, che possono trasportare ordigni nucleari e ci costano 14 miliardi di euro, per fare la guerra. Quello di Cameri è un investimento sproporzionato rispetto ai benefici occupazionali: 870 milioni per lo stabilimento e 3 miliardi e 600 milioni per l'avvio della produzione di 6 cacciabombardieri F35 per 500 occupati di cui 180 "trasferiti" dallo stabilimento di Caselle. C'è anche il rischio della chiusura di altri stabilimenti (tra cui quello di Torino) dell'Alenia. Con le stesse risorse avremmo potuto creare migliaia di posti di lavoro nelle produzioni civili".

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