Dunque, ciò che fino ad una settimana fa era considerato scenario da fantapolitica potrebbe concretizzarsi nel breve volgere di qualche ora. Il Partito Democratico ratificherà la sfiducia al Presidente del Consiglio in carica, ex numero due del partito, chiamato qualche mese fa a tamponare la falla aperta dalla dissennata gestione di pre – elezioni, campagna elettorale e periodo post elettorale del vecchio gruppo dirigente (di cui ovviamente faceva parte). Dopo la direzione delle 13, molto probabilmente Letta eviterà l'umiliazione della sfiducia parlamentare e farà un passo indietro; Napolitano farà un breve giro di (inutili) consultazioni e chiederà a Matteo Renzi di formare un nuovo Governo; il Sindaco di Firenze lascerà Palazzo Vecchio (almeno si spera) e metterà nero su bianco una squadra composta in larga parte di fedelissimi, ridimensionando il ruolo degli alfaniani e dando qualche contentino ai montiani.
In perfetto stile Prima Repubblica, dunque, arriverà l'avvicendamento diretto a Palazzo Chigi fra Enrico (quello che poteva stare sereno) e Matteo (quello che faceva della lealtà la sua bandiera distintiva). Avverrà "nell'interesse del Paese", il nuovo mantra dei renziani dal significato oscuro (per relatività del concetto e per l'abuso che si è fatto finora della locuzione). Ma soprattutto si concluderà la lunga rincorsa di Matteo Renzi, cominciata dopo la sconfitta delle primarie contro Bersani e agevolata dalla gestione tafazziana del periodo post elettorale da parte democratica. Tanto si è scritto e si sta scrivendo sulle reali motivazioni che avrebbero spinto Renzi ad una prova di forza che, nella sostanza, sembra in contraddizione con quanto da lui sempre affermato sulla lealtà al Governo e sulla necessità di una legittimazione popolare. E, nel nostro piccolo, continuiamo a pensare che il più grande timore di Renzi sia quello di una crisi al buio, prima dell'approvazione della legge elettorale, con la prospettiva di tornare al voto con il Consultellum e con l'incubo delle eterne intese. Insomma, tanto vale guidare di persona il percorso e mettere fine a quella che davvero sembra una lunga ed insensata agonia.
Al di là delle valutazioni di carattere politico, alcune condivisibili altre meno, c'è però un aspetto da non sottovalutare: quello della forma. Perché la rottamazione non è mai stata un ricambio generazionale puro e semplice. Doveva essere il rinnovamento delle forme della comunicazione e dei modi dell'agire politico. Il linguaggio della verità, l'onore, la fiducia e la trasparenza. Questa, girateci intorno quanto volete, è una congiura di palazzo. Una manovra da Prima Repubblica (con punte di ridicolo, come nota Lucia Annunziata), condotta con gli stessi trucchetti (sia pure con sprazzi di giovanilismo): indiscrezioni, retroscena, articolesse compiacenti e via discorrendo. Un po' poco per cambiare verso al Paese.
È vero, il Governo Letta sta facendo poco e male. E in Parlamento la maggioranza sta offrendo uno spettacolo indecente, con risultati ai limiti del grottesco. Ma Renzi dovrebbe spiegare come ed in che modo la sua sola presenza potrebbe cambiare il corso alle cose: con questa maggioranza, con i margini di manovra noti a livello economico – finanziario e, lo ripetiamo, senza le legittimazione popolare. Senza nemmeno parlare del fatto che una "gestione privata" della crisi rappresenta l'ennesima anomalia, oltre che una mortificazione del ruolo del Parlamento. Ma la cosa non fa nemmeno più notizia.