Lo avrete capito, non siamo fra quelli che avevano riposto enormi speranze nell’avvicendamento al Viminale fra Matteo Salvini e Luciana Lamorgese. Né fra quelli che avevano grandi aspettative rispetto alla sbandierata discontinuità del Conte bis sul versante dell’immigrazione, tema su cui il Partito Democratico ha da anni posizioni non dissimili da quelle leghiste. Ci sembrava chiaro fin dall’inizio che un governo debole, supportato da due leadership depotenziate (quella di Zingaretti dalla scissione, quella di Di Maio dalle sconfitte elettorali e dalle polemiche interne) e affidato all’interprete della passata stagione politica, non potesse affrontare di petto né tantomeno risolvere una questione complessa e difficile, su cui si era innestata una propaganda tossica, che aveva avvelenato i pozzi e creato profonde fratture nella coscienza sociale e culturale del Paese.
Sugli accordi con la Libia, però, si giocava una partita differente e, malgrado le scarsissime aspettative, era lecito attendersi uno scatto d’orgoglio, un minimo di dignità da parte della maggioranza, considerando i tanti esponenti di PD, LeU, Italia Viva e M5s che in questi mesi si erano espressi contro questo patto scellerato sottoscritto dal governo Gentiloni e rafforzato dal Conte I. Ma soprattutto tenendo ben presenti una serie di considerazioni oggettive, che rendono non accettabile il rinnovo automatico degli accordi con la Libia.
Il parlamentare di LeU Fornaro qualche mese fa riassumeva bene alcune delle principali cause ostative al rinnovo degli accordi: “Finanziare e supportare il sistema d'intercettazione e di controllo della Guardia Costiera Libica rende il nostro Governo compartecipe e corresponsabile delle sistematiche violazioni dei diritti, delle violenze e delle torture subite dai migranti nei centri di detenzione in cui vengono portati una volta a terra […] Risulta altrettanto pericolosa la formazione di personale della Guardia Costiera Libica che, come emerso nel rapporto del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, vede un alto rischio di infiltrazione e di legami con milizie che gestiscono spesso anche il traffico di esseri umani”.
Poche ore fa, in una lettera aperta, alcune associazioni (A Buon Diritto, Acli, Action Aid, Amnesty International Italia, Arci, Asgi, Avvocato di strada, Casa dei diritti sociali, Centro Astalli, Cir, Cnca, Comunità di S. Egidio, Emergency, Federazione Chiese Evangeliche in Italia, Intersos, Mèdecins du Monde Missione Italia, Oxfam, Save the Children Italia, Senza confine), che danno lavorano sul tema, hanno messo sul piatto altre questioni “minime” che consiglierebbero di stracciare gli accordi con i libici. In particolare sottolineano come “il meccanismo di esternalizzazione delle frontiere non fa altro che alimentare il conflitto in corso in Libia e se invece si evacuassero le persone che si trovano in questo momento nelle prigioni gran parte del materiale in mano alle milizie per ricattare gli Stati europei verrebbe meno”. Inoltre, appare evidente come non sia possibile controllare come la Libia stia impiegando le risorse, che “di fatto finiscono a sostenere un governo ostaggio delle milizie, dei trafficanti di esseri umani, e delle mafie locali”. In sintesi, stiamo formando “Guardia costiera libica in laboratorio, che faccia quello che noi non possiamo fare perché siamo un Paese democratico ed europeo, e cioè violazioni sistematiche dei diritti delle persone migranti presenti in Libia”. Il tutto sullo sfondo di un accordo illegittimo, perché stipulato in violazione dell’articolo 80 della Costituzione, che prevedere l’autorizzazione del Parlamento alla ratifica dei trattati internazionali che hanno natura politica e che determinano degli oneri finanziari sul bilancio dello Stato.
Ragioni minime, che prescindono addirittura da ogni considerazione politica o lettura ideologica. E che avrebbero potuto e dovuto portare alla cancellazione di accordi che non rendono onore a ciò che il nostro Paese è stato ed è ancora. Una volta usavamo i nostri soldi per salvare vite in mare, per pagare mezzi e straordinari ai nostri uomini con Mare Nostrum e con la search and rescue in mare aperto. Ora li usiamo per pagare i libici affinché violino sistematicamente i diritti umani.
Lo facciamo con un governo che è nato promettendo discontinuità con il passato, soprattutto con le pratiche dell'ex ministro Salvini. E invece lascia le persone in mare per 11 giorni, in attesa che si voti per le Regionali in Umbria e che altri Stati decidano di aiutarci nella redistribuzione di questo pesante fardello (pensate un po', un centinaio di disperati in fuga da fame, guerre e persecuzioni). Credendo che basti un piccolo maquillage (i toni pacati al posto delle truci dichiarazioni di guerra alle ONG), per nascondere l'utilizzo degli stessi strumenti (le infami norme del decreto sicurezza bis), della stessa prassi (l'autorizzazione allo sbarco solo dopo le garanzie sulla redistribuzione), dello stesso modus operandi (il disinteresse totale nell'area di mare non direttamente di nostra competenza), dello stesso disimpegno in termini di uomini e mezzi a Lampedusa (più che dimezzata in termini di capacità operativa rispetto al passato). Lo facciamo perché "altrimenti vince Salvini". Ehm.