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Putin e quello sherry da 150mila euro che ora potrebbe creare grane a Berlusconi

Le autorità di Kiev contestano non solo l’illegale organizzazione del viaggio in Crimea di Putin e Berlusconi avvenuta nel 2015, ma anche il reato di appropriazione indebita della famigerata e preziosa bottiglia di sherry servita per un brindisi dalla direttrice delle cantine Massandra ai due leader.
A cura di Charlotte Matteini
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Una bottiglia di sherry del 1765  l'oggetto del contendere, che sta portando le autorità ucraine a voler interrogare l'ex presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi. Una strana richiesta pervenuta oggi in via ufficiale da Kiev, che sembra volerci vedere chiaro e andare a fondo della questione. La vicenda, che risale al settembre del 2015, è abbastanza chiara: Berlusconi e il presidente russo Vladimir Putin si incontrano nelle storiche cantine di Massandra, situata vicino a Yalta, durante un viaggio in Crimea, territorio annesso alla Russia nel 2014. In quel frangente, Berlusconi e Putin avrebbero degustato una bottiglia di sherry de la Frontera del 1765 dal valore 150 mila dollari, uno dei vini tra i più antichi d’Europa e tra i più costosi al mondo, un brindisi che le autorità di Kiev considerano illegale. Per questo motivo è stata aperta un'inchiesta per appropriazione indebita contro la direttrice delle cantine Massandra, Ianina Pavlenko, che ha personalmente aperto e servito lo sherry a Silvio Berlusconi e Vladimir Putin la bottiglia. A rivelare la notizia dell'inchiesta e della conseguente richiesta di interrogatorio per Berlusconi sono stati i media locali ucraini, in testa il portale 112.ua.

La notizia del brindisi illegale e della relativa accusa di appropriazione indebita mossa nei confronti della Pavlenko era nota da tempo anche in Italia. Nei giorni successivi all'incontro con Putin nel settembre 2015, le autorità ucraine vietarono l'accesso in tutto il territorio a Silvio Berlusconi "per motivi di sicurezza nazionale", considerando il viaggio in Crimea "non concordato e organizzato illegalmente". Un divieto valido tutt'ora, visto che l'iniziale comunicazione avvenuta nel 2015 predisponeva un'interdizione minima pari a tre anni.

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