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Bonus mamme a rischio: per il governo della natalità il sostegno alle lavoratrici è solo retorica

Più che su vere misure di sostegno, l’impressione è che il governo punti tutto su una sorta di pensiero magico secondo cui tutte le donne vanno convinte a fare figli.
A cura di Jennifer Guerra
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Dopo l’aumento dell’Iva sui pannolini e i prodotti per l’infanzia dell’ultima legge di bilancio, il governo Meloni si prepara a un altro dietrofront sui sostegni alle famiglie e in particolare alle madri lavoratrici: secondo alcune indiscrezioni, il “bonus mamme” approvato con l’ultima finanziaria verrà fortemente ridimensionato, escludendo le famiglie con due figli. Il bonus prevedeva un taglio fiscale in busta paga fino a tremila euro lordi, ma è stato un flop: secondo l’Istat, almeno il 40% delle beneficiarie non avrebbe fatto richiesta, perché la misura era in contrasto con un altro sgravio più conveniente per le lavoratrici.

Secondo la ministra della Famiglia Eugenia Roccella, invece, il bonus era stato un grande successo, richiesto da oltre il 70% delle aventi diritto, ma queste indiscrezioni sembrano suggerire che le cose non siano andate come proclamato dal governo. Secondo l’Istat, le principali beneficiarie erano proprio le lavoratrici che si vedranno cancellare la misura: sulle 484mila donne che hanno fatto richiesta, 362mila hanno due figli.

Il bonus mamme era stato annunciato da Meloni con grande enfasi: “Noi vogliamo stabilire che una donna che mette al mondo almeno due figli ha già offerto un importante contributo alla società e quindi lo Stato in parte compensa pagando i contributi previdenziali”, aveva detto la premier durante la conferenza stampa con cui aveva presentato il piano da un miliardo di euro lo scorso ottobre. “Vogliamo smontare la narrativa per cui la natalità è un disincentivo al lavoro. Vogliamo incentivare chi mette al mondo dei figli e voglia lavorare”.

Peccato che però la strategia messa in campo finora dal governo sia stata fallimentare e che il sostegno alla maternità sia più retorico che concreto. Il sistema dei bonus e delle misure premiali, che sono di breve durata e hanno un impatto poco significativo sul bilancio familiare, non porta a un cambiamento strutturale e di certo non convince le coppie che non hanno figli a farne uno, che è lo scoglio principale da affrontare. L’età del primo figlio continua ad aumentare per le donne, mentre il governo si concentra sulle famiglie numerose, che rappresentano però solo una piccola parte delle famiglie italiane.

Gli interventi strutturali, come il congedo parentale paritario e non trasferibile (che cioè deve essere usufruito in maniera uguale da madri e padri), i servizi per l’infanzia e una seria incentivazione all’occupazione femminile non sono una priorità per il governo. Persino sugli asili nido il governo è riuscito a combinare un disastro, tagliando 1,3 miliardi di euro, ovvero più di 100mila posti previsti nel Pnrr e allontanando l’Italia dall’obiettivo europeo di 45 posti ogni 100 bambini. A maggio il governo ha annunciato in pompa magna di aver stanziato 734,9 milioni di euro destinati ai Comuni del sud per l’attivazione di nuovi posti, senza però specificare che questa misura era già compresa nell’obiettivo del Pnrr.

D’altronde Giorgia Meloni sta facendo di tutto per veicolare l’impressione che il suo governo stia dalla parte delle donne, e in particolare delle madri lavoratrici. Lei stessa ha deciso di dare l’esempio, portando con sé la figlia durante gli incontri di lavoro all’estero, senza però considerare che la stragrande maggioranza delle lavoratrici non può accedere a queste forme di conciliazione.

L’impressione è che il governo punti tutto su una sorta di pensiero magico secondo cui tutte le donne vanno convinte a fare figli. E infatti finora l’unica promessa mantenuta da Meloni sul tema è quella del tanto sbandierato “cambio di narrazione” sulla famiglia: il ministero delle Pari opportunità che diventa anzitutto ministero della Natalità, la “maternità cool”, gli esempi positivi nelle fiction Rai, gli Stati generali della natalità, l’immagine pubblica di Meloni come mamma-presidente, la demonizzazione dell’aborto e di tutte le forme di famiglia e unione che si discostano da quella tradizionale. Ovviamente, i futuri padri non vanno convinti di un bel niente, visto che non sono mai oggetto della retorica familistica meloniana.

Il governo pensa così di poter manovrare i desideri delle singole persone, mentre quello che serve davvero non è convincere chi non vuole figli ad averne, ma mettere nelle giuste condizioni chi li ha già nei propri progetti di vita. Queste donne e queste famiglie non hanno bisogno di retorica o propaganda, di post sui social strappalacrime o pubblicità progresso. Non hanno nemmeno bisogno di bonus e incentivi che un anno ci sono e un anno no. Hanno bisogno di lavoro stabile, una casa, servizi per l’infanzia, per gli anziani e per persone non autosufficienti, opportunità, tempo libero, città a misura di bambino.

È chiaro che per raggiungere questi obiettivi serva una visione politica molto più articolata che quella dei bonus e dei premi, che danno solo l’illusione di un impegno concreto. Il governo ha scelto la via più semplice e ad effetto dei soldi a pioggia. Eppure non sta riuscendo a portare a compimento nemmeno quella.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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