Bonus 80 euro, Bonus bebè, Art Bonus, Bonus buoni pasto, Bonus mobili, Bonus Poletti, Bonus insegnanti, Bonus diciottenni. Tra le tante parole del vocabolario renziano, "bonus" è probabilmente una delle più significative e rivelatrici.
Quello di “bonus” è un concetto che si sposa perfettamente con la pratica di governo di Renzi, e ancor di più con la sua narrazione. Il renzismo è prima di tutto una versione edulcorata, ragionevole e tutto sommato accettabile del bonapartismo, che si nutre del “fastidio” per i tempi lunghi della dialettica parlamentare, delle prove di forza, dell’utilizzo sistematico di decreti e questioni di fiducia. È un decisionismo che non ha bisogno di passaggi intermedi, di lunghe e complesse discussioni di merito (che magari ci sono anche, eh). E che ha nella disintermediazione una componente essenziale: il bonus, il regalo arriva direttamente da Renzi, quasi come fosse da lui elargito, senza passare per grigi funzionari o per cavillosi regolamenti.
"Bonus” è anche un concetto semplice, chiaro, immediato. E restituisce l’idea di una politica attiva nel premiare i cittadini, nel restituire qualcosa di concreto. Insomma, nel rapporto fatto di premi e punizioni, il bonus ha una valenza positiva, un invito all’ottimismo, un messaggio di fiducia.
La politica dei bonus è poi un problema enorme per le opposizioni. Perché è concettualmente difficile opporsi a una misura che regala “qualcosa in più” ai cittadini, che redistribuisce risorse che prima o non c’erano o erano impiegate in modo diverso.
Ogni volta che l’opposizione ha provato a impostare campagne contro un bonus ha rimediato solo figuracce. L’accusa di voler comprare il compenso a colpi di 80 euro in busta paga, ad esempio, è decisamente controproducente, perché offensiva nei confronti degli elettori, della loro intelligenza e della loro integrità morale, oltre che poco rispettosa delle condizioni di vita di moltissimi italiani (per i quali mille euro all'anno rappresentano un aiuto concreto). L’ultima accusa (fatta senza nemmeno aspettare le specifiche del provvedimento), quella di regalare 500 euro ai diciottenni "senza la certezza che vengano spesi per la cultura", è allo stesso modo un boomerang, perché suggerisce l'idea di decine di migliaia di giovani pronti a dilapidare i 500 euro fregandosene di cinema, teatri, musica eccetera. Del resto, quando non semplicistiche, le critiche sconfinano nel benaltrismo più scontato.
Dunque, tutto bene? Ci toccheranno anni di “bonus”, regali e sorprese? È questo il modus operandi più corretto ed efficace?
Non necessariamente. Il punto è provare a depurare la riflessione dalla propaganda, provando a discutere del merito delle cose. Complicato, non impossibile (e la discussione sarebbe in effetti lunghissima). È interessante, per esempio, la riflessione di Maurizio Ferrera sul Corsera: “Il nostro presidente del Consiglio sembra avere una predilezione per le misure «universali»: 80 euro a tutti, niente Imu per tutti, ora il bonus cultura a tutti i diciottenni. Sarà un approccio facile ed elettoralmente premiante, ma non è quello corretto rispetto agli scopi che si vogliono raggiungere”.
Secondo questa chiave interpretativa, un bonus universale non risponde a criteri di equità, proprio perché non tiene conto delle differenze reddituali, e non risponde "al problema della riduzione delle disuguaglianze nell'accesso alle risposte, della selezione dei bisogni prioritari, della tutela dei diritti di chi è più svantaggiato".
C'è poi il discorso dell'eccesso di semplificazione di cui pecca lo storytelling renziano. È stato il caso incredibile del "bonus Poletti" (che non era bonus manco per niente, anzi…), sul quale nessuna forza politica è riuscita a impostare una campagna di opposizione degna di nota, proprio perché incapace di sfuggire alla dicotomia "bonus sì / bonus no". Così, nella confusione generale, tutto diventa bonus: le detrazioni, il tax credit, le esenzioni, la restituzione di somme dovute, il sostegno al reddito, eccetera.
PS: come minimo contributo alla discussione, noi suggeriamo di valutare un “bonus”, come suggerito qui per i livelli essenziali di assistenza, secondo alcuni parametri:
- le modalità di finanziamento e la sua entità,
- le modalità di erogazione delle risposte e il loro dimensionamento nel territorio,
- le modalità di valutazione dei risultati di efficacia, cioè di effettiva garanzia che al livello di assistenza individuato corrisponda anche una positiva risposta ai bisogni.