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Boldrini: “In un Paese civile serve legge contro l’omofobia”

La Presidente della Camera dei Deputati risponde su Repubblica alla lettera di un giovane che lanciava l’allarme sulle discriminazioni a sfondo omofobico.
A cura di Redazione
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"Caro Davide, questa lettera te l'avrei scritta comunque, anche se non fossi presidente della Camera. Ho una figlia poco più grande di te, e t'avrei scritto come madre, turbata nel profondo dal tuo grido d'allarme, dalla solitudine in cui vivi, dal peso schiacciante che devi sopportare perché "non a tutti è data la fortuna di nascere eterosessuali". Comincia così una lunga lettera della Presidente della Camera Laura Boldrini che, sempre su Repubblica, risponde all'appello lanciato da un giovanissimo lettore ("Io, gay a 17 anni, chiedo solo di esistere") e in chiusura chiede di incontrarlo alla Camera. E lo fa scegliendo di concentrare l'attenzione non solo sull'omofobia, ma anche sul femminicidio, su quello "squallido bullismo maschile antico di secoli, che oggi si ammanta di modernità tecnologica e con due semplici click può devastare la vita di una ragazza in modo cento volte più tremendo di quanto sapessero fare un tempo, quando io avevo la tua età, i più grevi pettegolezzi di paese".

E il coarggio di Davide, prosegue la Boldrini, "mette noi adulti di fronte alle nostre responsabilità. Le mie sono sì quelle di madre, ma ora soprattutto di rappresentante delle istituzioni. E ti assicuro che le tue parole ce le ricorderemo". Una anticipazione di quello che è il cuore del problema, secondo la presidente della Camera: "Un Paese che si dice civile non può abbandonare dei pezzi di sé. Non può permettersi di vivere senza una legge contro l'omofobia, un male che spinge molti ragazzi a togliersi la vita".

Non manca un passaggio su quella che è stata la polemica delle ultime settimane, ovvero "l'utilizzo dei nuovi media", che la Boldrini riconosce "dalle potenzialità straordinarie", ma avverte: "se qualcuno li usa per far male, per sfregiare, per violentare, non possiamo chiudere gli occhi. Il problema, in questo caso, non è quello di varare nuove leggi: gli strumenti per perseguire i reati ci sono e vanno usati anche incrementando, se necessario, la cooperazione tra Stati. Ma sarebbe ipocrita non vedere la grande questione culturale che storie drammatiche come quella di Carolina ci pongono: i nostri ragazzi, al di là della loro invidiabile abilità tecnologica, fino a che punto sono consapevoli dei danni di un uso distorto dei social media?".

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