“Il palco dell’Ariston profanato, la tradizione in disequilibrio, che danno Contessa, che li ripaghi tutti lui quei fiori, 150 euro di rose buttati via!”
Ho letto commenti di tutti i tipi, fermi nel condannare il ventenne scapestrato con la sfiga dell'auricolare, come se fosse uno stragista. Se non leggi il nome, sembra di leggere i commenti al caso Cospito.
Ma come dicono i ventenni – o almeno come i boomer pensano che i ventenni dicano – “fly down, Bro”. Oppure, in italiano: anche meno indignazione va bene.
Nonostante fosse previsto nella sua performance – che riprende il videoclip della canzone – quei fiori calpestati hanno suscitato un'indignazione pari a un dito del David di Michelangelo staccato per farci un posacenere.
Blanco non ha sparato al conduttore, ha forse pisciato (metaforicamente) fuori dal vaso. E sono d’accordo con voi che ieri sera Blanco non somigliasse ai Pink Floyd mentre distruggeva le rose, ma forse più a un Tyson scomposto che morde l’orecchio al Festival della canzone italiana.
Però, ragazzi, è show. Il Festival è show, Blanco è show, gli abiti sono show, pure le canzoni (alcune molto belle) sono show. E se è spettacolo, anche le rose lanciate sono show.
Io, sommessamente, penso che Blanco abbia compiuto un brutto gesto, però “chi se ne frega”. Dai, riprendiamoci. Scegliamole bene le cose per cui scandalizzarci, le dichiarazioni per cui sussultare, i motivi per scendere in piazza, urlare sdegno, scrivere post indignati, vergognarsi collettivamente come popolo.
Impariamo a pesare le questioni, a guardarle in prospettiva, a non diventare i bacchettoni dei comportamenti altrui, a non pretendere la perfezione. Perché la perfezione, in fondo, è un “grandissimo sbatti”, sempre per usare quello slang che non usa nessuno ma che noi boomer innamorati di Sanremo pensiamo che i giovani utilizzino.
Mi fa un po’ effetto – ma forse sarà colpa mia – tutto questo rumore per nulla.
Much Ado About Nothing, come direbbe William Shakespeare.
Ho letto addirittura la “solidarietà a chi poi ha dovuto rimettere a posto il palco”. Ragazzi, io ve lo dico, non è così che si difendono i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Meglio allora chiedere un monologo sulla patrimoniale, per dire.
Quelle rose oggi sono nei cassonetti, e lo sarebbero state anche senza Blanco. Le rose si cambiano ogni giorno, è show. Magari – se lotta deve essere – chiediamo da dove vengono e quanto vengono pagati coloro che le raccolgono. Ma chi spazza il palco del Festival da tre foglie e quattro petali, che lo faccia un’ora prima o un’ora dopo, non cambia niente. Non mi sembra l’emblema del lavoratore schiavizzato, se proprio devo dirla tutta.
Perché delle due l’una: o il Festival è show, oppure è l’accademia del bon ton. E io preferisco lo show, Vasco Rossi ubriaco che si tocca il pacco e il profumo emanato dai petali gettati al vento, come durante i matrimoni.
Voglio il pane e le rose, però durante Sanremo mi accontento delle rose.