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Bersani, l’ennesimo candidato giusto al partito sbagliato

C’è chi sceglie di non partecipare al gioco del massacro. La campagna elettorale di Bersani è stata corretta e leale, come doveva essere. Il segretario ha sofferto di rappresentare un partito in cui pare abitare una forza oscura che divora leader senza pietà.
A cura di Andrea Parrella
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Elezioni - Conferenza stampa di Pierluigi Bersani

Per scenari oltre l'umano immaginabile, come quello che la tornata elettorale ha generato, la metafora calcistica finisce sempre per essere la più pregnante per lo spunto d'analisi. I risultati li conosciamo ampiamente, così come sappiamo che non sappiamo nulla su cosa sarà. Nell'idea sregolata del nostro paese non afferriamo che anche qui le elezioni finiscono sempre per essere il computo finale di un quinquennio. E' il motivo per cui succede che uno che ha vinto coi numeri di fatto non vince ed uno che non vince si prende il merito di un gran risultato e ne esce rinvigorito. L'elezioni sono il delta di un fiume, che presenta il conto di quanto è scorso. L'errore di sistema in Italia non è che le urne non siano cartina tornasole dei cinque anni precedenti, ma che la cartina venga letta dal verso sbagliato.

Qualcosa ha voluto che pure questa volta fosse il centrosinistra a dover uscire con le rossa rotte e con conseguenze inesorabilmente cadute sull'autorevolezza del suo leader, costretto a prendersi la responsabilità di un'altra vittoria che sa di sconfitta. Ma per la verità, il solo parere che viene spontaneo esprimere, ha la latente intenzione di scagionare da qualche colpa Bersani. I giornali avevano cominciato a denunciare emorragia di credibilità da settimane, dicendo una verità parziale (i punti di vantaggio il Pd li ha persi, oppure semplicemente non ce li ha mai avuti?). Speranza di Bersani era rosicchiare dagli ultimi scampoli di credibilità rimasti alla politica tradizionale la forza per risollevarne le sorti. A chi non ci crede penso possa rispondere la delusione negli occhi del segretario Pd durante il suo discorso di ieri.

Che Bersani sia il bersaglio per le accuse di demerito fa parte del gioco, il leader è quello che si prende riconoscimenti e demeriti, al pari di un allenatore di una squadra di calcio. Trovo assurda l'impostazione secondo la quale si attribuisca a lui il vizio di aver fatto una campagna debole, in cui non è riuscito a scaldare i cuori; questo del cuore è un aspetto da campagna elettorale a stelle e strisce che da noi si è tradotto maccheronicamente nell'idea di proposta shock: quella che Bersani ha strenuamente ed egregiamente rifiutato di fare. Non condivido le parole del direttore de La Stampa, Mario Calabresi, che ritiene fondamentale ai fini del fallimento del centrosinistra il fatto che, nelle piazze, mentre si dicesse di Grillo che avrebbe cambiato tutto e di Berlusconi che avrebbe restituito l'Imu, si diceva di Bersani che è un brava persona. Come se non fosse abbastanza. Quella del segretario è stata la giusta campagna di chi viene accreditato dal pronostico come strafavorito e non ritiene consono per il paese un gioco al massacro su chi la spara più grossa. E' un atteggiamento di un'umanità esemplare e forse anche di fragilità, che avrebbe dovuto scaldare di certo i cuori in una campagna leale.

Ed è maledettamente controproducente attaccare il più autorevole esponente della scuola opposta (quello che queste elezioni non le ha perse), criticando contemporaneamente l'essere morigerati. Diciamoci la verità, al Pd viene criticato di essere il Pd, qualunque cosa faccia. C'è da riflettere sulla capacità del partito di assorbire e divorare celatamente chiunque lo rappresenti, grazie ad una forza oscura endogena ed irrintracciabile. Senza nascondersi, bisognerebbe forse cominciare a pensare che Bersani fosse l'uomo giusto e che più che il momento sbagliato si trattasse della squadra sbagliata. A me francamente il Pd ricorda l'inter del pre-Calciopoli, una squadra infinitamente attesa ma sempre incompiuta che tutti gli uomini normali se ne siano trovati al comando non sono riusciti a domare. Per operazioni del genere ci vuole un fenomeno, non un bravo allenatore. E Bersani è questo, non di più.

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