Nell'elenco delle dieci professioni più usuranti per il sistema nervoso siamo sicuri che la voce "segretario del Partito Democratico" sia ben posizionata. Tanto più se la postilla è "successore di Walter Veltroni" (post reggenza Franceschini ovviamente). Una doverosa premessa che però non può suonare come una scusante tout court, né influenzare il giudizio su una parabola politica, quello dell'attuale segretario Bersani, che sembra aver raggiunto il suo punto più basso. Tanto per essere chiari, chi scrive ha più volte in passato espresso la sua stima "personale" per il buon Pierluigi, al quale va riconosciuta una buona dose di passione e finanche un approccio non convenzionale alla leadership. Quella cui stiamo assistendo negli ultimi mesi è però una vera involuzione, probabilmente frutto della difficoltà di perseguire il doppio minario dell'appoggio "responsabile" all'esecutivo dei tecnici e alle manovre "lacrime e sangue" e della costruzione dell'alternativa di governo. Senza dimenticare quella che in molti sostengono essere la "colpa originaria" di Bersani: il non aver puntato i piedi con Napolitano per elezioni anticipate dopo le dimisisoni di Berlusconi. Anche se, in quel caso, con buona probabilità ciò che è successo in quei giorni concitati, tra telefonate, accordi e pressioni "delle alte sfere europee", resterà materia per ricostruzini storico – giornalistiche.
Il Bersani degli ultimi mesi è piuttosto un politico vecchio stampo. Con tutto ciò che comporta in termini di condivisione delle responsabilità, linea politica e approccio alla base del partito. Così, ciò che sembra angosciare il segretario è una sorta di complesso della mediazione, la ricerca insistita di una posizione "terza", che preservi istanze diverse e che non scalfisca l'immagine del Partito Democratico come "alternativa di Governo". Il terrore ai piani alti democratici è quello di sciupare l'ennesima occasione, di veder nuovamente sfumare la possibilità di vincere le elezioni. Un gioco di posizioni, dunque, con Bersani che sembra aver deciso (autonomamente?) alleanze e linea, cercando di non "scontentare" Napolitano e di presentarsi agli occhi delle istituzioni europee come l'interprete più affidabile del post – Monti (sempre ammesso che il professore…).
In tal senso la convergenza con i centristi deve essere sembrata quasi come una scelta naturale, in linea con le aspettative "europee" e un punto di partenza irrinunciabile per non alienarsi "il consenso moderato", in un momento in cui lo spazio "a sinistra" sembra fin troppo affollato. E' chiaro che a tale risoluzione Bersani sembra giunto dopo aver considerato l'inaffidabilità degli ex alleati dell'Italia dei Valori e la perdita di forza della proposta vendoliana; certo è che il percorso scelto (peraltro senza un vero confronto interno) non è privo di ostacoli. In primo luogo bisognerà convincere i propri elettori (o buona parte) della necessità di scendere a patti e compromessi con i centristi (in particolare sui temi etici), anche limando alcuni punti programmatici essenziali e compiendo scelte impopolari. In secondo luogo bisognerà vincere le tante resistenze interne al partito, quelle di chi già considera l'appoggio a Monti come una forzatura non necessaria. Infine, bisognerà arginare la propaganda "grillina" e immaginare una campagna elettorale in difesa, sotto la pressione della crisi e senza una via d'uscita credibile e realmente alternativa alle "lacrime e sangue". Insomma, stai a vedere che l'assillo della responsabilità costerà ancora una volta il prezzo più alto al PD…