Ci risiamo, verrebbe da dire. Riuscire a dividersi proprio nel momento peggiore dell'avversario storico (vero o presunto si potrebbe aggiungere) non era cosa da poco, fornire alibi e argomenti ad una maggioranza allo spando e preda delle sue stesse folli logiche di aggregazione – consolidamento, sembrava operazione facilmente evitabile. Eppure, qualcosa deve essere andato storto e questa volta non c'è (o non dovrebbe esserci) neanche il Dalemone di guzzantiana memoria cui dare la colpa.
Che alla caduta del Cavaliere si sarebbe aperta una vera e propria battaglia nel fronte dell'opposizione era cosa francamente alquanto prevedibile, certo però che il tutti contro tutti cominciasse nel momento in cui il Governo ottiene la maggioranza più larga dall'uscita dei finiani e dunque proprio nel punto cruciale di una battaglia contro un nemico che, seppur giudicato prossimo ad un tramonto inesorabile e stretto fra angosce giudiziarie e correnti di partito e di schieramento (la vera novità politica degli ultimi mesi), appare ancora in grado di "sopravvivere" fino alla scadenza naturale del mandato elettorale. L'aria che si respira sul versante dell'opposizione (non solo in Parlamento, ma anche nel Paese) è invece cambiata radicalmente in pochi giorni ed il "vento del cambiamento" che sembrava soffiare forte nei giorni delle trionfali amministrative e dell'exploit referendario è invece mutato in una quantomai inopportuna e fastidiosa (per ora solo questo) bora mattutina. Del resto che qualcosa stesse cambiando era nell'aria fin dalla notte dei ballottaggi, con ad esempio un Vendola sferzante, esaltato e pungente dal palco di Milano ed un Di Pietro inedito in versione "moderato e razionale uomo di Governo" sul palco allestito in fretta e furia per l'amico – rivale Luigi De Magistris.
Poi, la vittoria referendaria vissuta non senza qualche sintomatica "attribuzione di paternità" e successivamente il vero "casus belli" (con buona pace di Matteo Salvini) sul fronte progressista: la discussione sulla verifica di Governo alla Camera dei Deputati, con l'affondo diretto di Di Pietro nei confronti "dell'amico Pierluigi" e quello meno diretto nei confronti del Governatore della Puglia e del suo personalismo ideologico, tanto per rimanere in tema di citazioni. In realtà, va detto ad onor del vero, che l'uscita del leader dell'Italia dei Valori non è da intendersi come una mera provocazione o peggio ancora come un brusco voltafaccia. Si tratta invece di un primo abbozzo (a parer nostro dalla tempistica, certo scelta di proposito, ma probabilmente rivedibile) di "sparigliare" le carte in tavola, costringendo da una parte Bersani a scendere nel dettaglio della proposta programmatica e (soprattutto vorremmo dire) in tema di alleanze e dall'altro Vendola ad uscire allo scoperto circa la futura collocazione d'area di Sinistra e Libertà.
Già, perchè al di là dei tatticismi più o meno utili a quella che dovrebbe essere la causa comune delle forze di opposizione (la costruzione di un'alternativa di Governo che incontri il favore dell'elettorato), è evidente che le questioni da chiarire ci sono e sono dirimenti: piattaforma programmatica, scelta delle alleanze e leadership su tutte. Tre punti nodali e legati fra di loro, che difficilmente potranno essere chiariti e discussi a breve, men che mai nel tanto agognato tavolo proposto da Di Pietro che, più che uno spazio di reale pacificazione di conflitti per ora solo affidati alle agenzie di stampa (nè esplicitati e ad onor del vero neanche sentiti dalle basi dei diversi movimenti), rappresenta essenzialmente un modo per rimarcare il ruolo dell'Italia dei Valori all'interno della coalizione e di fronte al proprio elettorato. Il tutto anche in considerazione del fatto che la scelta di Di Pietro risponde anche alla necessità di frenare in qualche modo una ipotetica emorragia di consensi cui potrebbe andare incontro un'Idv schiacciata tra Partito Democratico e Sinistra e Libertà. In questo gioco di posizioni la parte del pompiere spetta per ora ad un Bersani conscio che la sua leadership, mai messa in discussione nei mesi precedenti le amministrative, se da una parte uscirebbe rafforzata in virtù di una funzione di garante di spinte diverse e contrapposte, dall'altro potrebbe restare impantanata tra i continui distinguo di alleati insofferenti (la prospettiva di trovarsi come un novello Prodi prima maniera certo non deve allettare molto il segretario democratico). E tra appelli, richiami alle primarie, scelte di campo, impostazioni culturali e mosse strategiche, gli anni che mancano alle politiche rischiano di essere molto lunghi e complicati, anche per uno "smacchiatore di giaguari" come Bersani…