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Bersani a Fanpage.it: “Giusto armare la resistenza ucraina, ma non possiamo fare a meno del gas russo”

Intervista all’ex segretario Pd e fondatore di Articolo Uno: “Centrosinistra senza Calenda o Cinque Stelle? Ok, ma prepariamoci a Meloni al governo. Draghi? Lo stimo, ma la sua riforma del fisco non cambia nulla”.
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“La sinistra? E dov’è la sinistra? Draghi? Lo stimo ma non possiamo chiedergli di fare Mandrake. Il gas? Non lo compri in latteria”. Il bello, con Pierluigi Bersani, è che difficilmente si sottrae alle domande. E difficilmente dà risposte diplomatiche o evasive alle questioni che gli vengono poste. Già segretario del Pd, già candidato premier della coalizione del centro sinistra del 2013, già ministro dell’industria, già presidente di regione dell’Emilia Romagna, Bersani è oggi deputato e leader di Articolo 1, piccola formazione di sinistra, uscita dal Pd in polemica con la segreteria di Matteo Renzi, ma non manca di sostenere i candidati democratici e di centrosinistra alle amministrative, come accade a Lodi con Andrea Furegato, 24enne sfidante della sindaca leghista uscente Sara Casanova. Un appuntamento elettorale che per Bersani è anche occasione per fare il punto su tante questioni al centro del dibattito politico di questi giorni, dalla guerra in Ucraina alla crisi del gas, dalla riforma del fisco alle difficoltà del governo Draghi, sino alle elezioni politiche prossime venture e a come ci arriverà la coalizione di centrosinistra, o come preferisce chiamarla lui, di “sinistra plurale”.

Onorevole Bersani, partiamo dalla guerra in Ucraina. Che idea s’è fatto? Come va a finire?

Difficile districarsi nella propaganda di questa guerra. Difficile capire che esito abbiamo davanti. Però possiamo partire dalle poche certezze che abbiamo di fronte.

La prima?

Che questa guerra nasce da un’aggressione ingiustificabile. È inutile andare a vedere motivazioni torti e ragioni nel passato della geopolitica. Se ci fossero realmente dei torti del passato da andare a riparare attraverso la guerra, avremmo migliaia di guerre oggi nel mondo. Ne abbiamo una sessantina, e già sono troppe.

E come si fa, allora?

L’unico modo di prendersi una rivincita sulla storia è la pace. L’Europa ha dimostrato questo. Ha chiuso secoli di guerre, di torti e di ragioni solo con la pace. Quel che è avvenuto prima di febbraio può aiutarci a comprendere, a farci un’idea. Ma è da febbraio che si vedono torti e ragioni. E chi aggredisce ha torto.

Quindi è giusto sostenere la resistenza ucraina?

Io credo sia giusto dare una mano alla resistenza ucraina e che questo sia compatibile coi valori della nostra costituzione.

Anche dando armi?

Io credo di si e ho votato per questo. Certo, questa cosa ha fatto discutere il nostro mondo.  Mi lasci dire una cosa a questo proposito: i parlamenti non devono decidere se un obice è di offesa e di difesa. Hanno il compito di dire a governi e militari quali sono gli obiettivi che devono perseguire. La cosa importante è chiederci perché aiutiamo l’Ucraina.

Ecco: perché aiutiamo l’Ucraina?

Io la aiuto per darle la possibilità di negoziare un compromesso, anche prima che la Russia si ritiri. Si chiuda questa guerra e quel che è sospeso lo si affidi a un tavolo negoziale. E questo vale anche per gli altri elementi di pressione, come le sanzioni.Mentre se l’idea è che noi aiutiamo l’Ucraina per far durare la guerra a tempo indeterminato, con l’idea di sconfiggere strategicamente Putin, io non ci sto.

Perché è sbagliato sconfiggere Putin?

Questo sì sarebbe in conflitto con la nostra Costituzione. Che dice no alla guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Noi stiamo aiutando una resistenza, è molto diverso. Noi non vogliamo indebolire la Russia con la guerra, vogliamo un Ucraina in piedi che possa negoziare la pace con la Russia. Il concetto di sconfiggere una potenza nucleare non esiste, è un ossimoro. Le grandi potenze fan fatica a vincere guerre convenzionali. E questo può alla lunga richiamare un salto: sono più adatte, queste potenze, all’uso delle tecnologie informatiche e del nucleari. Il rischio di escalation è questo, non quello di una guerra convenzionale su vasta scala.

Non mi pare che gli Stati Uniti la pensino come lei…

Evidentemente no. Ma dalla Germania alla Francia sono arrivate posizioni che si allontanano dalle parole d’ordine di Londra e Washington: vincere, ributtare Putin di là dai confini prima di negoziare. Anche perché c’è una bella differenza: noi discutiamo di 500 milioni in armi, l’America sta parlando di 40 miliardi di aiuti militari. Cifre diverse chiamano obiettivi diversi. E dobbiamo metterci d’accordo su questo.

In tutto questo, Draghi non si è ancora capito da che parte sta…

Draghi, nell’incontro a Washington con il presidente Usa Joe Biden, ha detto quel che hanno detto Scholz e Macron, poi all’uscita pare abbia assunto posizioni più filo americane. Ma noi siamo prima l’Europa, e poi la Nato. E prima di tutto dobbiamo avere una posizione chiara e forte come Europa. E poi negoziare la nostra posizione nella Nato. Una posizione un po’ più assertiva di quella che abbiamo avuto finora.

Una posizione difficile da sostenere anche in relazione alle sanzioni contro la Russia. Anche in quel caso si è avvertita una certa subalternità europea a Washington…

A me capitò una volta di dire a un ambasciatore americano che lamentava noi avessimo un certo rapporto energetico con la Russia di provare ad aprire una cartina geografica. L’avesse fatto avrebbe visto chiaramente che l’Europa è una propaggine del continente russo. Parliamo di un Paese che si estende su 11 fusi orari, con pochissima popolazione, ma strapieno come pochi altri al mondo di materie prime e fonti energetiche. Alla lunga la geografia vince sulla Storia, perché è immanente e prima o poi pretende le sue ragioni. Gli amici – e gli Usa lo sono – dovrebbe aiutarci ad avere rapporti di convivenza che la geografia suggerisce.

Vero. Ma molti dicono che l’Italia, conoscendo Putin, poteva differenziare un po’ di più le sue fonti energetiche….

Non si azzardi la destra a spiegare che serve la differenziazione energetica. Posso levarmi un sasso dalla scarpa?

Anche più di uno…

Noi in Italia abbiamo tre rigassificatori piccolini e oggi uno grosso, che oggi sono essenziali perché ci permettono di acquistare gas liquido e ritrasformarlo. Quello grosso, a Rovigo, lo feci fare io da ministro, e mi trovai addosso tutte le opposizioni possibili. Finito quel governo, arriva la destra, che dopo un mese di governo si mette a cianciare di nucleare, con applausi smisurati di Confindustria, quando Scajola dichiarò che entro la legislatura avrebbero fatto tre centrali come quelle francesi e finlandesi di ultima generazione. Faccio notare che non solo non abbiamo mai visto nemmeno col binocolo queste centrali in Italia. Faccio notare che quella finlandese è entrata in funzione poche settimane fa con un ritardo di 13 anni. E che quella francese non è ancora entrata in funzione, ma nel frattempo i costi sono decuplicati.

Cosa vuol dire, con questo?

Vuol dire che se invece di prendersi gli applausi di Confindustria avessero fatto un altro paio di rigassificatori, noi oggi avremmo forse un problema di prezzo del gas, ma di sicuro non avremmo un problema di approvvigionamento.

Domanda secca: possiamo fare a meno del gas russo?

Non fidatevi di chi dice che tra un anno ci stacchiamo dal gas russo. Non ne siamo in condizione. Chiudono le fabbriche, se ci stacchiamo dal gas russo. Il gas non si compra in latteria: se non te lo da la Russia, il gas te lo può dare la Libia, che sappiamo tutti come sta. O l’Algeria, che si è astenuta nella condanna dell’invasione russa. Lavrov era ad Algeri, la scorsa settimana. O dall’Azerbaijan, che confina con la Russia e difficilmente sfiderà apertamente il suo ingombrante vicino. Non è così semplice, insomma.

E se provassimo a fare a meno del gas?

Giusto, giustissimo. Spingiamo sulle rinnovabili. Sapendo, però, che anche lì non si risolve in quattro e quattr’otto. Bisogna fare investimenti pesantissimi sulla rete e sulle batterie d’accumulo. E ci vogliono anni, per fare queste cose.

Nel frattempo, veniamo da due anni di pandemia e ci ritroviamo sull’orlo di una nuova crisi economica.

Sì ma la guerra c’entra relativamente. La crisi della globalizzazione precede la guerra. Portare un container da Shanghai a Genova era triplicato prima della guerra, figuriamoci adesso.  Noi adesso abbiamo un problema che si chiama inflazione, e che deriva dall’aumento dei prezzi dell’energia e delle materie prime, comprese quelle agricole che rischiano di provocare una carestia globale e una crisi del potere d’acquisto qui da noi.

E come si fa a evitarlo?

Bisogna intervenire su salari e pensioni. Che devono essere rivalutati in funzione dell’aumento dei prezzi. Noi stiamo rivalutando i contratti del 2%, mentre l’inflanzione cresce del 6%. Non dico di ripristinare la scala mobile. Ma con l’inflazione così alta, noi dobbiamo pensare a un intervento del governo.

Immagino abbiamo qualcosa in mente

Lo scambio dovrebbe essere questo: care imprese, lo stato vi garantisce approvvigionamento a prezzi garantiti e più bassi. Voi che ricevete questo, fate uno sforzo verso lavoratori e dipendenti. Ve lo defiscalizziamo, vi aiutiamo, ma dovete darci una mano. In questo modo si tengono vive le produzioni e si sostengono le famiglie con un aumento dei prezzi così pesante.

Secondo lei riuscirà Draghi a fare qualcosa di questo tipo?

Draghi lo stimo, ma non puoi chiedergli di fare Mandrake. Una riforma del fisco come quella che ho descritto prima Draghi non la può fare con questa maggioranza. Bisogna predisporsi a preparare un progetto di governo e fare riforme vere. Quando fai una riforma devi predisposti al fatto che c’è gente che ti rincorre col badile, perché in ogni riforma c’è chi guadagna e chi perde. Io voglio che ci guadagni chi ha meno. È abbastanza semplice.

A proposito di riforme: le piace quella del fisco?

È una riforma che non cambia nulla.

In che senso?

Faccio un esempio: in questa legge delega si dice che i comuni in deficit possono fare un addizionale. Il problema è che nella giungla di detrazioni e flat tax, questa addizionale la pagano solo lavoratori e pensionati. Così non è giusto. Non è giusto un Paese in cui, a parità di reddito, ci sono diecimila modi diversi di pagare le tasse, in funzione di come fa il reddito. La fiscalità dev’essere uguale per tutti. A parità di reddito, parità di imposizione. Chi ha di più, paga di più. Chi ha di meno, paga di meno. Questa sarebbe una vera riforma del fisco.

Potrebbe essere una bandiera della sinistra alle prossime elezioni?

Sta sinistra dov’è? Io non la vedo

Centrosinistra, dai…

Io preferisco parlare di sinistra plurale anziché di centrosinistra. Il centro è una categoria che sta scomparendo. Pensiamo alla pandemia. C’è chi l’ha affrontata seriamente, e chi ha fatto lo sconto al virus o lo a preso a ridere. Pensiamo al riscaldamento globale: c’è chi lo vuole combattere e chi lo nega. Più o meno, la sinistra plurale sta dalla parte di chi prende sul serio i problemi, di chi vuole cambiare le cose. Non tutti la pensano uguale su tutto, ma sulle grandi questioni c’è la medesima consapevolezza, il medesimo approccio.

Lei mi sta descrivendo un’alleanza che va da Calenda ai Cinque Stelle?

No, se noi ci limitiamo ad ammucchiarci non è abbastanza. Perché la destra governa assieme 14 regioni e un sacco di comuni. Noi questa cosa non ce l’abbiamo ancora. Dobbiamo fare un passo in più sui contenuti e sulla proposta politica. Gliel’ho detto a Calenda: se non vuoi i Cinque Stelle devi predisporti al fatto che preferisci che vada al governo Meloni o Salvini. E parliamo di gente che non vuole sentire parlare di progressività fiscale, i campioni del mercato che non vogliono sentire parlare di valori di mercato sui valori catastali, corporativi al massimo, debito a gogo e poi giurano sulla costituzione ma il 25 aprile non escono di casa. Se è questo quello che vogliamo, continuiamo pure a dividerci e a fare gli schizzinosi.

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