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Berlusconi se ne va. Ma ora il giocattolo di Letta e Napolitano rischia di rompersi

Silvio Berlusconi saluta e se ne va, portandosi dietro 66 senatori e lasciando la maggioranza con soli 168 voti. Che basteranno al massimo per tirare a campare…
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È tutta una questione di numeri, in fondo. Dichiarazioni, mosse, strategie, accordi e progetti dipendono nella sostanza dagli equilibri parlamentari e dai margini di manovra che restano all'esecutivo dopo la conferma dell'uscita di Forza Italia dalla maggioranza. Cosa del resto ampiamente prevedibile, sia per l'imminente decadenza dalla carica di senatore di Berlusconi, sia perché appariva alquanto insolito un massiccio sostegno all'esecutivo senza la diretta presenza di un rappresentante (più di uno magari, almeno considerando i numeri). Insomma, con lo strappo degli alfaniani e la nascita del Nuovo Centro Destra era già stata sancita la rottura del patto fra Letta, Berlusconi, Monti e Napolitano. Un patto che era riuscito a consentire il superamento dell'impasse istituzionale dovuto al pareggio elettorale (e anche ad errori grossolani di valutazione da parte dei leader politici e all'ostinazione del Capo dello Stato nel voler gestire la fase post – elettorale, sarebbe il caso di riconoscerlo), ma che certamente non poteva garantire il Cavaliere sul versante che gli stava più a cuore, quello giudiziario, né interpretare in maniera "integralista" il concetto di pacificazione.

Ma tant'è. E quella che fino a qualche settimana fa era una maggioranza bulgara (che aveva consentito la marginalizzazione dell'opposizione e garantito una buona libertà di manovra all'esecutivo, pur nell'ottica di un modus operandi basato sul continuo ricorso alla mediazione) è diventata una maggioranza traballante, decisamente incerta. Almeno stando ai numeri, appunto. Analizzando gli equilibri interni alla maggioranza si nota subito come, con l'addio della pattuglia forzista (69 deputati e 66 senatori), il fronte a sostegno di Enrico Letta da 450 voti sicuri alla Camera e 234 al Senato, rispettivamente a 381 e 168. Quest'ultimo dato è il più rilevante: al Senato della Repubblica, dunque, il Governo può contare solo su 7 voti di margine sulla quota di maggioranza assoluta (161).

Ad appoggiare l'esecutivo sono infatti i 108 deputati del Partito Democratico, i 20 di Scelta Civica, i 10 del gruppo Autonomie – Psi ed i 30 del Nuovo Centro Destra. Certo, Letta potrebbe trovare un sostegno sporadico dal gruppo Misto (che consta di 16 rappresentanti), oppure dai 6 senatori a vita attualmente presenti a Palazzo Madama, ma è chiaro che politicamente i margini di manovra restano ridotti, minimi. Tornano infatti ad essere determinanti anche i membri di Scelta Civica, gruppo attraversato da enormi problemi interni e soprattutto rappresentato nel Governo da uno degli uomini della discordia, il ministro della Difesa Mario Mauro. E già dalla prima discussione sulla legge di stabilità si è capito che aria tira e come parte di Scelta Civica intende impostare il dialogo parlamentare con il Governo (il giudizio di Linda Lanzillotta sul punto è stato infatti durissimo, nei confronti degli estensori del maxiemendamento in particolare). Ma soprattutto non è del tutto da escludersi che le pressioni del Cavaliere possano condizionare la pattuglia degli "alleati" del Nuovo Centro Destra, finendo con il tenere in scacco la maggioranza su alcuni punti cardine: giustizia, riforme, tasse e legge elettorale, tanto per capirci.

Il tutto senza considerare il test delle elezioni europee ed il clima da campagna elettorale perenne in cui vive la politica italiana. Insomma, la vulgata classica che vuole un Letta molto più forte dopo lo strappo degli alfaniani appare "almeno" discutibile, proprio perché non tiene in considerazione quella che è la vera questione: che l'asse (involontario, ci mancherebbe) tra Grillo e Berlusconi rappresenta una formidabile opposizione, sia nel Paese che in Parlamento. E Letta (che dopo l'8 dicembre dovrà guardarsi anche dal "fuoco amico") non ha che 7 pedine di vantaggio. Poche finanche per sopravvivere. Figuriamoci per cambiare il Paese.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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