C'era grande attesa per la sesta campagna elettorale di Silvio Berlusconi. A maggior ragione dopo che ci si era illusi di poterlo relegare al ruolo di padre nobile del centrodestra. Di metterlo in un angolo, magari in attesa che optasse definitivamente per un tanto dorato quanto volontario esilio. Ma l'ostinazione dell'uomo è proverbiale, così come la sua ritrosia ad arrendersi, anche di fronte all'evidenza. Così ha voluto, preteso quasi, una nuova chance: una campagna elettorale da protagonista, l'ultima battaglia del grande comunicatore. Anche se deve essersi reso conto ben presto che le cose non sono andate come aveva immaginato. Prima la timidezza dei sondaggi (che segnalano solo minimi spostamenti), poi la netta emarginazione politica cui lo ha costretto la mossa di Monti, infine il sanguinoso compromesso con la Lega Nord: un tecnicismo per dire che sì, lui è il capo della coalizione, ma non il candidato a Palazzo Chigi. Un sofismo, una presa in giro che in altre circostanze avrebbe provocato furibonde polemiche e sdegnate prese di posizione. Ora invece solo un sorriso di commiserazione, ispirato ad una constatazione banale: "ma tu guarda cosa è costretto ad accettare pur di…".
Eppure, l'ostinazione di Silvio ed il ritrovato asse con la Lega rappresentano ancora l'unico e solo argine alla vittoria elettorale del centrosinistra. Ben più del fronte centrista di Mario Monti. Miracoli del Porcellum, ma non solo. Perché se è vero che la maggioranza al Senato si conquista vincendo in Sicilia e Lombardia (e centrosinistra e centrodestra sono testa a testa), è vero anche che c'è un dato eminentemente politico su cui riflettere. E cioè che è solo la parentesi tecnica che ha, seppur in minima parte, legittimato la nuova avventura del Cavaliere. È solo l'anno di transizione ad avergli garantito l'effetto oblio (suppur minimo) sul disastro del Berlusconi IV e ad avergli regalato la possibilità di presentarsi "all'attacco" in campagna elettorale.
Appunto, la campagna elettorale. Evidentemente a corto di idee, il Cavaliere ha reagito nell'unico modo possibile: riprendere da dove aveva lasciato, facendo ciò che in passato gli ha permesso di vincere 3 elezioni su 5. Replicando cioè il solito canovaccio: invasione ed occupazione degli spazi televisivi, monologhi interminabili, allergia al confronto, difesa ad oltranza del suo operato, demonizzazione dell'avversario e ossessione per i comunisti. Ovviamente accentuando il tutto, fino ad arrivare a situazioni al confine dell'assurdo: litigi con Giletti, Gruber e (addirittura) Vespa, presenza radio – televisiva ai limiti dello stalking, negazione della realtà (quasi che la crisi fosse esclusivamente colpa di tecnici e tedeschi), attacchi veementi alla magistratura che ora contemplano "la questione di genere", solita ossessione per il comunismo "senza i comunisti" e via discorrendo. Insomma, il Cavaliere è sempre lo stesso, solo un po' più incazzato e decisamente più disperato, e come tale chiede agli italiani di essere nuovamente giudicato. Con quello che rischia di essere l'ennesimo referendum ad personam se Monti e Bersani continueranno su questa strada.