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Opinioni

Berlusconi e il teatrino di una generazione che “uccide” il proprio padre fuori tempo massimo

Le immagini di Berlusconi di questi giorni sono la metafora perfetta di un Paese che non sa mai fare i conti con il proprio passato.
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Le immagini che ritraggono Berlusconi in questi ultimi giorni, ma direi anche negli ultimi mesi, hanno un che di nostalgico e penoso: ne viene fuori il ritratto di un uomo che non si arrende all'evidenza dei fatti ovvero al naturale ed ineluttabile declino dell'eta e persiste ottusamente nel cercare di continuare ad essere e rappresentare quel che non può più essere. D'altronde che sia il calcio, la politica, o gli "affari", il Cavaliere ha sempre dimostrato di essere, per certi aspetti, "immortale", di saper tornare sempre e comunque anche quando tutti lo davano per spacciato, quindi non è assolutamente detto che queste giornate sanciscano definitivamente il finale della sua storia, tuttavia questa volta quella che sembrava un'ennesima vittoria (l'elezione a senatore), si sta trasformando nella sua pietra tombale.

Le foto con i cagnolini, le braccia sempre tese a sorreggersi a qualcuno, i suoi appunti su Giorgia Meloni, il "vaffanculo" – nemmeno lontanamente celato – a Ignazio La Russa, nuovo Presidente del Senato al posto suo, hanno trasformato quello che sarebbe potuto essere un anziano e saggio "glorioso" leader, in un vecchio rancoroso che non accetta il passaggio di tempo e di consegne: una perfetta metafora del nostro paese, rancoroso, ostile al cambiamento, dove i "giovani" hanno almeno 50 anni e le nuove generazioni non possono far altro che aspettare di invecchiare per essere ascoltate o prese sul serio. Insomma Berlusconi sembra un orologio rotto che fa tik e tok, citando una delle sortite più note di questi ultimi mesi, sul social omonimo.
Ma tutto questo è anche metafora perfetta di un paese che non è mai in grado di fare i conti con il proprio passato se non seppellendolo e facendo finta che non ci sia mai stato, salvo poi ritrovarsi trent'anni dopo a discuterne sempre nella medesima condizione: "Eh però avremmo dovuto parlarne prima quando era il momento."

Ovviamente questa è soltanto l'opinione di chi scrive, un uomo di quarantacinque anni (portati modestamente mi sento di aggiungere dato che purtroppo chi legge non può vedermi) che da quando ha memoria e dal primo momento in cui ha avuto accesso al voto, non ha sentito parlar d'altro se non del Cavaliere, del conflitto d'interessi, dei processi, delle prescrizioni, dei coinvolgimenti con la mafia di persone più o meno a lui vicine (vedi Marcello Dell'Utri) e di tutta una serie di problemi legati a doppio filo con la storia del Paese che non sono mai stati risolti. Mai.

Quindi come sempre accade in Italia, tutto quello che succede in questi giorni ai suoi danni è un teatrino, una messa in scena anche abbastanza semplice da recitare, di un dramma che andava rappresentato più di vent'anni fa. Ed è quantomeno simbolico il fatto che siano le sue stesse creature a decretare il suo finale: lui che ha creato il centro-destra e la sua stessa definizione, lui che ha sdoganato gli ex-fascisti dell'MSI, lui che li ha portati al governo, che ha portato al governo Bossi fino ad allora fenomeno di costume, lui che pulendo lo sgabello dove poco prima era seduto Travaglio e definendo "coglioni" le persone che avrebbero votato a sinistra ha reso lecito l'uso di qualunque linguaggio in qualunque circostanza, che definendo comunista e nemico chiunque si frapponesse fra lui e il suo programma ha di fatto dato il via alla polarizzazione che è male assoluto dei tempi che viviamo o quantomeno ne è stato precursore, lui che ha realizzato quasi del tutto il "progetto Rinascita" della P2, lui che ha trasformato questo paese, lui che ha creato l'attuale scena e classe politica, è da questa stessa che viene "deriso" e messo da parte.

E la frase di Giorgia Meloni "si è dimenticato che io non sono ricattabile" è il suo epitaffio (per quanto va detto che i ricatti di cui fa riferimento altro non sono se non segreti nascosti nel cassetto del Cavaliere che potrebbero affossare, a quanto pare, chiunque e in qualunque momento, come Fini insegna). Un epitaffio scritto a caratteri cubitali dai suoi figli e dalle sue figlie che hanno definitivamente ucciso, pasolinianamente parlando, il proprio padre. Solo che l'hanno fatto fuori ogni tempo massimo, ormai senza alcun motivo, dimenticando che nessuno di loro, Meloni compresa, ha mai abiurato o rinnegato gli "inciuci", i festini di palazzo Grazioli, le olgettine in Parlamento, e soprattutto quando sono loro ad essere diventati i padri che dovrebbero essere uccisi dalle nuove generazioni. In tutto questo la sinistra di governo come sempre è restata soltanto a guardare: come sempre visto che in 30 ani non è mai riuscita a far nulla per risolvere il famigerato conflitto d'interessi, se non – anche in questo caso – fuori tempo massimo.

Insomma, anche in questo caso – come sempre da oltre quarant'anni – Berlusconi, nel bene e nel male, è protagonista della scena. E siamo qui nostro malgrado a parlarne e constatare per l'ennesima volta che purtroppo questo nostro paese non è in grado mai di fare i conti con il proprio passato, anzi è un paese smemorato che si ritrova dopo settant'anni a dover ricordare che "il fascismo non è un opinione, ma un crimine e chi lo pensa oltre a delinquere è anche un grandissimo cialtrone." Siamo una generazione di eterni figli e figlie che uccidiamo i nostri padri per rancore e vendetta, non per amore.

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