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Opinioni

Berlusconi condannato: una sentenza storica, sulle macerie della guerra dei vent’anni

Più di cinquanta udienze, decine di testimonianze e migliaia di interventi: è il processo Ruby, ultima pagina di una recita che va avanti da oltre vent’anni. E che ha cambiato anche gli italiani.
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Chiariamo subito: dalla condanna a 7 anni di Berlusconi non dipende il futuro a breve termine del Governo e il Cavaliere non andrà in galera. Ancora: nel provvedimento "svuotacarceri" non c'è alcun salvacondotto per l'ex Presidente del Consiglio. E ancora: fino a che non si conosceranno le motivazioni della sentenza ogni considerazione è basata praticamente su interpretazioni o ricostruzioni individuali (che magari non corrispondono alla chiave di lettura dei giudici). Quindi, più che commentare un verdetto (manco una sentenza), sarebbe il momento di farsi qualche domanda su come verrà ricordata questa sentenza e, ancor di più, questi ultimi anni di muro contro muro.

La guerra dei vent'anni, del resto, è una definizione studiata ad arte dalla comunicazione berlusconiana. Dà l'immagine di una contrapposizione formale e sostanziale, di uno scontro cruento e, indirettamente, dell'aggressione di una parte sull'altra. Un dualismo che semplicemente non avrebbe motivo di esistere, perché i due piani, quello della pratica politica e dell'azione giudiziaria non dovrebbero mai confondersi in uno stato di diritto.

Quella di oggi è invece l'ennesima pagina di una tragicommedia tutta italiana. Un Paese nel quale è diventato impossibile discernere tra comportamenti privati e operato politico; in cui le vicende personali di un uomo hanno tenuto in scacco l'azione di più di un Governo; in cui professionisti, opinionisti e commentatori sono stati per anni costretti a confrontarsi con le scelte di vita di un uomo. E per di più con una buona dose di ragione, dal momento in cui non si era mai visto il Parlamento discutere della parentela con Mubarak di una minorenne che abitava in casa di una prostituta brasiliana, libera di chiamare a suo piacimento il Presidente del Consiglio in carica (ma è solo un esempio, sia chiaro). Quanto questa morbosa attenzione per la vita e le vicende private di un uomo come Berlusconi abbia fatto comodo anche agli altri partiti politici è cosa fin troppo nota per essere argomentata ulteriormente. Così come è fin troppo evidente che la presenza delle vicende surreali dell'eterno signor Bonaventura ci ha permesso di rapportarci alla politica con quel sorriso amaro e tronfio di chi riconosce "il superamento del limite" nel trionfo dello scandaletto di serie B. A buona ragione, lo ripetiamo.

Ma soprattutto gli ultimi vent'anni hanno corrotto la nostra percezione dei fatti a tal punto da capovolgere i ruoli e stravolgere i concetti. Giustizialisti, garantisti, forcaioli: ogni concetto è finito con l'avere il suo termine di paragone nella condotta personale dell'ex premier. Il Paese dei 60 milioni di allenatori è diventato quello degli investigatori, dei giudici, dei partigiani della magistratura o dei falchi garantisti ad ogni costo (come un falco possa essere garantista resta un mistero). In una parentesi di mobilitazione perenne, in cui i conservatori hanno sollevato il vessillo della liberalità e dell'anticonformismo, bollando come bigotti, voyeur e sanfedisti coloro che credevano che nella decenza dei comportamenti potesse esserci un qualche metro di valutazione dell'individuo Berlusconi nel suo essere rappresentante di una istituzione.

Ora la sentenza, che non è una vittoria di nessuno. Perché nessuna sentenza lo è. Perché non c'era alcuna partita ulteriore da giocare. Ma soprattutto perché siamo a tal punto avvelenati da non essere in grado nemmeno di commentare come vorremmo. Sempre ammesso che ci sia qualcosa da commentare.

Ps: A chi scrive piacerebbe dire che nessun uomo dovrebbe provare sollievo quando un suo simile è privato dalla libertà. E magari aggiungere che in un Paese normale il Cavaliere avrebbe affrontato i suoi processi e scontato le eventuali condanne da privato cittadino. Senza amazzoni o pasdaran. Perché in un Paese normale non si va in piazza contro la magistratura in difesa di un accusato di concussione, evasione fiscale o prostituzione minorile. Ma tutto questo c'entra poco o nulla, per dire. Appunto…

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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