Il dibattito sul reddito di cittadinanza e sul lavoro sottopagato in questo Paese è surreale. Dobbiamo partire da una premessa: le analisi non si fanno con le parole degli imprenditori da salotto, che popolano le trasmissioni televisive costruite sempre con lo stesso format, ma con i numeri. I dati, precisi e puntuali, non mentono e soprattutto delineano un fenomeno nel suo complesso. Perciò il rapporto annuale dell'Istat è imprescindibile in questo discorso: perché permette – se ce ne fosse bisogno – di scalzare definitivamente la narrazione tossica che viene portata avanti a reti quasi unificate su questi temi.
Il reddito di cittadinanza serve a contrastare la povertà, e su questo non ha fallito. Secondo il rapporto dell'Istituto di statistica nel 2020 ha evitato a un milione di persone – o 500mila famiglie – di trovarsi in condizione di povertà assoluta. L'intensità della povertà, altrimenti, sarebbe salita di dieci punti percentuali. Insomma, parliamo di fatti. Quando si chiede di abolire il reddito di cittadinanza e si fa una lotta feroce alla misura, bisogna ricordare in primis questo: è un aiuto per chi non ce la fa, prima che uno strumento per sostenere le politiche attive del lavoro.
Un altro punto trattato dall'Istat riguarda le retribuzioni, su cui difficilmente possono esserci ancora dubbi: quattro milioni di lavoratori dipendenti guadagnano meno di 12mila euro l'anno. Sono quasi uno su tre. Quasi un milione e mezzo percepisce meno di 8,41 euro l'ora, considerata la soglia della bassa retribuzione. Uno su dieci. Qualora non bastassero i report degli scorsi mesi, che segnalano l'Italia come uno dei Paesi europei in cui i salari sono più bassi.
Davanti a questi numeri non c'è molto da discutere. Eppure si continuano a costruire contraddittori improponibili nel dibattito pubblico. Il format televisivo è sempre lo stesso: imprenditore collegato che si lamenta che ha messo l'annuncio ma non risponde nessuno per colpa del reddito di cittadinanza, politico che inveisce contro la misura senza riuscire a mettere in fila quattro dati, percettore di reddito – collegato praticamente sempre dalla Sicilia, perché il Sud che vive di sussidi funziona – che viene mangiato vivo dagli altri ospiti senza riuscire neanche a spiegare la sua posizione. La posizione di una persona che mette la faccia per dire: vorrei lavorare, ma non trovo una sistemazione dignitosa e sono costretto a far vivere così la mia famiglia. E non è mica facile.
Ogni volta che viene chiesto agli imprenditori perché non cerchino lavoratori al centro per l'impiego, che serve a far incrociare domanda e offerta di lavoro – e soprattutto obbligherebbe i percettori ad accettare le proposte, pena la perdita del sostegno – il discorso viene sviato. I centri per l'impiego non funzionano e sono sempre chiusi. E i politici che se ne sarebbero dovuti occupare? Dicono che la colpa è del reddito di cittadinanza – e non loro che a differenza di altri Paesi non hanno mai investito, per decenni, sulle politiche attive del lavoro – perché da quando c'è gli imprenditori si lamentano che non trovano personale. Ma cosa conferma questa correlazione? Nulla, nessun tipo di dato se non l'esperienza degli imprenditori da salotto. Il rapporto causa-effetto non è verificato, ma solo millantato.
Per citare l'esempio cardine dell'imprenditore di turno, infine, le assunzioni di lavoratori stagionali sono maggiori rispetto al periodo in cui non c'era reddito di cittadinanza. Nel 2018 gli stagionali assunti sono stati 660.585, nel 2019 sono stati 759.094, nel 2020 sono stati 656.745 (era la prima estate della pandemia di Covid), nel 2021 sono stati 920.685. Lo scorso anno – quando già i primi Alessandro Borghese parlavano di generazione che non vuole sporcarsi le mani – venivano assunti centinaia di migliaia di stagionali in più rispetto a quando il reddito non c'era. E nel 2022 il dato degli stagionali è fermo a marzo, ma al momento è più che doppio rispetto all'anno scorso.
Perciò occorre ripensare al lavoro in Italia, ai salari, alla dignità. Ma soprattutto bisogna smetterla di raccontare stupidaggini o esperienze personali che – per carità – possono anche essere accadute, ma aiutano solo a puntare il dito contro chi sta peggio. Qui non si tratta più di un dibattito ideologico su una misura che ha i suoi difetti e che potrebbe essere migliorata, ma di capire come rendere strutturale una vita in condizioni decenti. La politica si svegli, perché i milioni di lavoratori poveri sono arrivati alla fame e non bastano il reddito di cittadinanza e il bonus 200 euro. E vengono pure ridicolizzati e presi in giro in televisione dagli imprenditori da salotto, nonostante tutto quello che già sono costretti a subire.