Partiamo dai numeri, che rendono l'idea di come sia cambiata la geografia politica del Paese dopo questa tornata elettorale. Su un totale di 235 comuni con più di 15mila abitanti chiamati a rinnovare la propria amministrazione, il centrosinistra ne conquista 160 (il 68% circa), al centrodestra vanno 37 Sindaci (il 16%), 22 sono appannaggio di liste civiche, 4 vanno a liste civiche di sinistra, 3 a formazioni centriste, 2 al Movimento 5 Stelle e uno a testa per Lega Nord e Fratelli d'Italia. Considerando la situazione pregressa, il successo del centrosinistra e del Partito Democratico è evidente: i comuni amministrati sono 48 in più rispetto alla scorsa consiliatura (erano 112), con 19 capoluoghi (erano 16, anche se bruciano molto le sconfitte di Livorno, Padova, Potenza e Perugia). Il centrodestra invece perde 45 roccaforti, con sconfitte brucianti soprattutto a Bergamo (dove Giorgio Gori sconfigge il Sindaco uscente) e Pavia, dove a sorpresa cade Alessandro Cattaneo, uno dei volti nuovi di Forza Italia ed in rampa di lancio per un ruolo di spicco a livello nazionale. Il Movimento 5 Stelle invece si consola della batosta alle Europee con le due vittorie di Livorno (risultato clamoroso, in una roccaforte della sinistra) e Civitavecchia.
Sullo sfondo, il dato inquietante dell'affluenza alle urne, che scende sotto il 50% (al primo turno aveva votato il 70% circa degli aventi diritto) e risulta quasi sempre determinante per l'esito del voto. Del resto, appare sempre arduo elaborare un giudizio complessivo su un turno di ballottaggio alle elezioni amministrative, a maggior ragione dopo la scorpacciata di analisi e commenti del post elezioni europee. Al risultato nel singolo Comune concorre di solito una serie di fattori difficilmente collegabili e non sempre comprensibili. Così, se appare forzato parlare di "rivincita" di centrodestra e M5S dopo il flop delle Europee, allo stesso tempo è discutibile la lettura renziana delle bocciature subite (Perugia e Livorno, in particolare).
Oltre la specificità delle singole battaglie elettorali, però, emergono alcuni fattori comuni. In primo luogo è evidente che l'accorpamento del primo turno delle Comunali con le Europee ha trascinato i candidati del centrosinistra: quando è venuto meno "l'effetto Renzi", evidentemente, molti elettori hanno preferito rimanere a casa, determinando i rovesci di Livorno, Perugia e Potenza, ad esempio. Così, per una volta, la bassa affluenza è diventata un fattore negativo proprio per il Pd. Allo stesso modo, il boom renziano ha favorito la polarizzazione del consenso "residuo" verso quei candidati antagonisti al Pd, garantendo loro consensi trasversali e del tutto inaspettati. Ad influenzare la scelta di voto al ballottaggio concorre, sia pure in misura minore, anche la legge elettorale, che assegna seggi in consiglio comunale alle forze escluse dai ballottaggi "a seconda" del risultato finale della consultazione. Così come è possibile stimare "leggeri scostamenti" dopo il coinvolgimento di esponenti del centrosinistra in inchieste su tangenti e malaffare (il caso Mose, quello Expo e via discorrendo): un impatto minimo, considerando che complessivamente i democratici guadagnano poltrone, ma da tenere in ogni caso in considerazione. Quanto poi abbiano inciso gli equilibri interni ai partiti (e i rapporti non sempre idilliaci tra livelli locali e nazionali) è abbastanza complicato da determinare. Se ad esempio in casa centrosinistra, la continuità con la precedente esperienza amministrativa ha pagato a Bari e Modena, i casi Perugia e Padova testimoniano l'emergere di problematiche legate al passaggio di testimone "con una staffetta interna"; stesso discorso per quel che concerne i rapporti di forza all'interno del partito, con la struttura renziana che sembra tenere bene (il caso più eclatante è quello di Gori a Bergamo), mentre i dissidenti fanno molta fatica ad imporsi (non solo Padova, si vedano anche i casi Livorno e Urbino).