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Azzolina, Regioni, Governo: con chi dobbiamo prendercela se la scuola è un’attività sacrificabile

Azzolina ha detto oggi che la dad “non può più funzionare perché i ragazzi stanno vivendo un blackout”. Ma di chi è la responsabilità? La ministra dell’Istruzione se la prende oggi con le Regioni, che hanno deciso di rimandare la data del rientro in classe degli studenti delle superiori. La verità però è che il governo non è stato in grado di elaborare un piano efficace per la ripresa della didattica in presenza in sicurezza.
A cura di Annalisa Cangemi
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La scuola è l'unico settore davvero sacrificabile. Questo ci ha insegnato il governo, che programma e promette l'apertura della maggior parte delle attività e poi lascia a casa gli studenti, in barba al diritto all’istruzione, che dovrebbe essere costituzionalmente tutelato. I problemi di connessione, l'assenza di banda larga, il digital divide, rischiano infatti di lasciare a piedi proprio i ragazzi più fragili. E nel momento in cui, dopo una crisi sanitaria ed economica mondiale senza precedenti, si dovrebbe proprio investire nel futuro dei più giovani.

Dad: il giocattolo si è rotto, ma di chi è la colpa?

Ora però il giocattolo si è rotto, o quantomeno si è inceppato. L'allarme lo lancia proprio la ministra dell'Istruzione Lucia Azzolina. "Sono molto preoccupata. Gli studenti hanno bisogno di sfogare la loro socialità. Tanto vale che lo facciano all'interno della loro classe". La titolare di Viale Trastevere si giustifica così: "Io ho voluto la Dad a marzo scorso ma può essere uno strumento utile per qualche mese, non può più funzionare perché i ragazzi stanno vivendo un blackout, sono arrabbiati, disorientati e sono molto preoccupata per il deflagrare della dispersione scolastica". È vero che se la didattica a distanza alla lunga si sta rivelando fallimentare è anche perché la scuola italiana paga i ritardi nella digitalizzazione di questo Paese: nonostante gli oltre 500mila dispositivi, tra Pc e tablet, che sono stati dati in comodato d’uso a studenti e docenti, non si riesce a colmare il gap digitale. Ma è anche vero che la didattica online non potrà mai sostituire la didattica in presenza, come ripetono incessantemente medici, pediatri, psicologi, educatori ed esperti.

La ministra pentastellata vuole mostrarsi dalla parte degli studenti che da Nord a Sud stanno oggi protestando, perché si sentono, giustamente, presi in giro e abbandonati. Dopo diversi rinvii e tira e molla alla fine delle vacanze di Natale sono riusciti a tornare fra i banchi, al 50%, i ragazzi delle superiori in Trentino Alto Adige (il 7 gennaio) e da oggi anche in Abruzzo, Valle D'Aosta e Toscana. Ma di chi è la responsabilità?

Ora Lucia Azzolina vuole far ricadere la colpa interamente sui governatori: "Ho fatto tutto quello che potevo fare con il governo: le scuole sono pronte per ripartire, ma sono le Regioni che hanno la possibilità di riaprirle o meno". Uno scaricabarile che se da una parte può essere comprensibile perché già da dicembre la ministra spingeva per la riapertura, con l'appoggio del presidente del Consiglio Conte, dall'altra appare surreale, perché Azzolina non è all'opposizione, e il ministero che guida dovrebbe occuparsi proprio di trovare le migliori soluzioni per la scuola. Azzolina fa parte del governo, di quello stesso governo che non ha saputo (voluto?) elaborare una strategia efficace per riportare a scuola gli studenti in sicurezza, un piano di rientro che prevedesse, oltre a una riorganizzazione dei trasporti, anche uno scaglionamento degli orari di altre attività, e non uno stravolgimento della giornata dei ragazzi, per i quali un eventuale ingresso in classe alle 10 potrebbe impattare anche su altre attività necessarie al loro sviluppo.

Certo, mi si potrebbe obiettare che la gestione di un piano per il pieno ritorno della didattica in presenza non dipendeva solo dalla ministra dell'Istruzione, che gli enti locali hanno un peso in questa partita, e che il fatto che la voce della Azzolina sia rimasta inascoltata la dice lunga sullo stato dei rapporti all'interno della maggioranza (tanto che la stessa ministra pentastellata è stata in odor di rimpasto). Ma è un fatto che in tanti mesi di pandemia è stato fatto poco per esempio per potenziare gli organici e per l'edilizia scolastica.

Per settimane il dibattito sulla scuola si è orientato sulla polarizzazione tra chi era a favore dei banchi a rotelle e chi li criticava (i nuovi banchi, a rotelle e no, ammontano a 2 milioni e mezzo). Ma sarebbe stato forse più urgente parlare del fatto che solo ‘grazie' al coronavirus, come ha ammesso lo stesso ministero dell'Istruzione, sono state sbloccate importanti risorse europee. Come ha scritto il Sole 24 Ore, "Tra marzo e giugno sono stati riprogrammati 730 milioni di spesa e al momento ne risultano impegnati 556, ripartiti tra 17mila progetti. La fetta più ampia è andata agli interventi leggeri di edilizia scolastica (adeguamento degli spazi e acquisto di arredi) con 330 milioni di euro. Lo stato di avanzamento dei progetti, che devono concludersi entro fine anno (2020 ndr), è dell’80 per cento". Evidentemente, sebbene la ministra si fosse detta soddisfatta, non è stato abbastanza.

La scuola riapra nei piccoli Comuni

Non si capisce per esempio perché non si prevede un ritorno a scuola al 100% almeno per i Comuni più piccoli, mantenendo la dad nelle grandi città, come Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Bologna, Genova, Bari. Nei piccoli centri, dove la mobilità urbana è resa più gestibile dalle piccole distanze, dove è più facile anche per i genitori accompagnare eventualmente i ragazzi a scuola in macchina perché c'è meno traffico, perché non permettere ai ragazzi di tornare in classe?

Didattica a distanza all'università?

Piccola riflessione in chiusura. Forse potrebbe essere utile pensare di mantenere una didattica integrata all'università, anche quando la pandemia sarà un ricordo. Si potrebbe dare la possibilità di seguire le lezioni a distanza a studenti che prima del Covid dovevano sostenere affitti onerosi per frequentare le università delle grandi città, evitando loro un trasferimento che in molti casi pesa non poco sul bilancio familiare. Senza considerare i faticosi spostamenti che i pendolari devono fare ogni giorno, per seguire lezioni per nulla pratiche che potrebbero ascoltare comodamente da casa, risparmiando soldi e tempo. Solo in questo caso, e solo per i ragazzi più grandi, un modello di didattica da remoto può e deve essere immaginato e strutturato. Ma i ragazzi più giovani hanno il diritto di prepararsi al meglio alle sfide dei prossimi anni, guardandosi in faccia, seppur con una mascherina. Nessuno restituirà loro questo tempo.

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Giornalista professionista dal 2014, a Fanpage.it mi occupo soprattutto di politica e dintorni. Sicula doc, ho lasciato Palermo per studiare a Roma. Poi la Capitale mi ha fagocitata. Dopo una laurea in Lettere Moderne e in Editoria e giornalismo ho frequentato il master in giornalismo dell'Università Lumsa. I primi articoli li ho scritti per la rivista della casa editrice 'il Palindromo'. Ho fatto stage a Repubblica.it e alla cronaca nazionale del TG3. Ho vinto il primo premio al concorso giornalistico nazionale 'Ilaria Rambaldi' con l'inchiesta 'Viaggio nell'isola dei petrolchimici', un lavoro sugli impianti industriali siciliani situati in zone ad alto rischio sismico, pubblicato da RE Le Inchieste di Repubblica.it. Come videomaker ho lavorato a La7, nel programma televisivo Tagadà.
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