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Autonomia differenziata delle Regioni

Autonomia differenziata, il referendum è inammissibile per la Consulta

La Consulta ha dichiarato inammissibile il referendum abrogativo della legge sull’Autonomia differenziata delle Regioni. Ad emettere la sentenza sono stati gli attuali undici giudici della Corte Costituzionale.
A cura di Annalisa Cangemi
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È arrivato il verdetto della Corte Costituzionale anche sull'ammissibilità del referendum abrogativo della legge Calderoli sull'autonomia differenziata delle Regioni: il referendum non si farà. La Corte ha rilevato che "l'oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari".

La Consulta si era già espressa il mese scorso in merito alla legge Calderoli, sottolineando – ai fini di compatibilità costituzionali – la necessità di correzioni su sette profili della stessa legge: dai Livelli essenziali di prestazione (Lep) alle aliquote sui tributi erariali.

È durata circa due ore oggi l'udienza a porte chiuse a Palazzo della Consulta, con i rappresentanti dei promotori dei 6 quesiti referendari – oltre all'autonomia differenziata anche su lavoro e cittadinanza – di cui la Corte era chiamata a vagliare l'ammissibilità, dopo che nelle scorse settimane c'era stato il via libera in Cassazione. I giudici si sono poi riuniti in camera di consiglio per prendere la loro decisione.

Sono stati ammessi invece gli altri 5 quesiti: la Consulta ha dichiarato ammissibili i 5 referendum su cittadinanza, Jobs Act, indennità di licenziamento nelle piccole imprese, contratti di lavoro a termine, responsabilità solidale del committente negli appalti.

La prossima data da segnare sul calendario è il 10 febbraio, quando la Corte Costituzionale depositerà le ordinanze con le motivazioni. Si sono espressi oggi solo 11 giudici, perché i quattro giudici della Consulta di nomina parlamentare non sono ancora stati eletti. Dopo la tredicesima fumata nera, la seduta a camere riunite è stata nuovamente convocata per giovedì 23 gennaio.

Cosa succede ora

Sul quesito si sarebbe dovuto votare in una domenica in primavera, tra il 15 aprile e il 15 giugno. Il referendum contro l'autonomia differenziata dunque non ci sarà. Nasceva da un'iniziativa di Cgil, Uil, partiti di opposizione e associazioni civili, a cui si sono aggiunti i consigli regionali di Campania, Sardegna, Toscana, Puglia ed Emilia Romagna. I due quesiti iniziali erano stati unificati in un unico quesito, che chiedeva l'abrogazione del cosiddetto ddl Calderoli, approvato nel giugno 2024.

I giudici costituzionali erano già intervenuti sulla legge Calderoli con la sentenza 192 del 2024, che ha eliminato ben 7 punti, dai Livelli essenziali di prestazione (Lep) alle aliquote sui tributi erariali, e ne ha riscritti altri cinque. La sentenza della Corte aveva ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell'intera legge sull'autonomia differenziata, considerando invece illegittime specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo.

Lo stop al ritengano al referendum era nell'aria, e per questo motivo il governo e la premier Meloni non si sono esposti. Nella camera di consiglio a Palazzo della Consulta non era presente infatti l'avvocatura dello Stato per sostenere l'inammissibilità del quesito.

Cosa chiede il referendum sulla cittadinanza

Ammesso invece il referendum sulla cittadinanza, che propone di ridurre il periodo di residenza legale continuativa necessario per richiederla da 10 a 5 anni. In molti paesi europei, come Francia e Germania, il periodo di residenza richiesto per ottenere la cittadinanza è per esempio di 5 anni, fanno notare i promotori, tra i quali c'è il partito +Europa. Si voterà dunque in primavera, tra il 15 aprile e il 15 giugno, come per gli altri referendum dichiarati ammissibili dai giudici.

I referendum sul lavoro

Dalla Cgil erano partiti gli altri quattro quesiti, su cui la Corte si è espressa favorevolmente, tutti riguardanti il lavoro: quello contro il Jobs Act propone l'abrogazione della legge che nel 2015 ha cancellato il diritto al reintegro anche quando il licenziamento venga giudicato illegittimo. Grazie alla norma, l'azienda può scegliere di pagare un’indennità economica piuttosto che reintegrare il lavoratore ingiustamente licenziato.

Il quesito per un ‘lavoro dignitoso' chiede la cancellazione del tetto massimo di risarcimento al lavoratore ingiustamente licenziato nelle piccole aziende, con meno di 15 dipendenti, lasciando al giudice la possibilità di decidere un risarcimento giusto e proporzionato, senza vincoli prestabiliti; si chiede inoltre l'abrogazione delle norme che liberalizzano i contratti a termine, "rendendo la precarietà una condizione normale per tanti giovani e non solo", scrivono i promotori.

In tema di sicurezza, si chiede l'eliminazione della norma per cui l’impresa committente può evitare di assumersi responsabilità per i danni legati ai rischi specifici delle aziende appaltatrici o subappaltatrici.

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