Aumentano le donne nelle istituzioni, ma i posti di potere sono ancora occupati da uomini
Le donne al potere aumentano: è un processo lento e graduale, ma negli ultimi anni la presenza femminile nei luoghi decisionali in Europa e in Italia è effettivamente cresciuta. A ben guardare, però, i numeri non restituiscono tutto il quadro: più si sale ai piani alti della scala di potere, meno donne si trovano. Ciò significa che la strada è ancora lunga, e ci sono barriere dure a morire.
Dall'analisi della presenza femminile fatta dal dossier di Openpolis "Trova l'intrusa" emerge che nel parlamento italiano e in quello europeo le donne rappresentano circa il 30%. Un dato che cresce nel caso di amministrazioni locali. La stessa percentuale, tra l'altro, per la prima volta nel 2016 è stata raggiunta nei consigli di amministrazione delle azione quotate in borsa.
Governo e Parlamento
Quando si è insediato il governo Renzi, si parlò molto di parità di genere negli incarichi di governo: nell'esecutivo erano state nominate otto ministre su sedici totali. Questo equilibrio, però, non durò molto: "già alla nomina di viceministri e sottosegretari si passò a 16 donne su 61 incarichi (il 26,23%)", si legge nel dossier di Openpolis, che ricorda tra l'altro che "in pochi mesi le ministre scesero a 5, poiché le dimissionarie Maria Carmela Lanzetta, Federica Mogherini e Federica Guidi furono sostituite da uomini". Il governo Gentiloni, invece, è partito sin da subito con l 27,78% di ministre: 5 su 18, di cui 2 senza portafoglio.
Alla Camera dei deputati le donne rappresentano il 31,30% del totale. Tuttavia, se si vanno a guardare gli incarichi "di peso", solo il 19,23% è assegnato a donne. Al Senato la forbice è più contenuta: le donne sono il 29,60% e ricoprono il 25,58% dei ruoli chiave.
"Anche nelle istituzioni politiche, come nel resto della società, persistono due recinti: uno verticale, il cosiddetto soffitto di cristallo, che preclude le cariche più elevate; e un altro orizzontale, che confina le donne in settori ritenuti tipicamente femminili: welfare, cura della persona, istruzione. Pochissime le donne ministre a cui vengono affidati i budget più consistenti, e ancora più rare le deleghe sulle questioni economiche: in tutta Europa non c’è nemmeno una ministra dell’economia", si legge nel dossier.
Giunte Regionali e Comuni
Per quanto riguarda le amministrazioni locali, solo in otto regioni si arriva almeno a un 40% di donne sul totale dei componenti – e per lo più solo grazie al fatto di escludere il presidente dal totale dei componenti. Solo in Campania l’equilibrio di genere è sbilanciato a sfavore degli uomini, con 66,67% donne in giunta. In nessuna regione italiana si arriva al 40% di donne nei consigli regionali. Il risultato migliore è dell'Emilia-Romagna, che con il 32% di consigliere. In Basilicata le donne sono totalmente assenti dal consiglio regionale, così come in Molise dalla giunta regionale.
Il report rileva come la "tendenza alla rarefazione della presenza femminile dal basso verso l'alto" sia visibile sia nelle giunte che nei consigli regionali:
A presiedere una regione in tutta Italia sono solo due donne: Debora Serracchiani (Pd) in Friuli-Venezia Giulia e Catiuscia Marini (Pd) in Umbria. Nelle giunte, dove gli incarichi sono conferiti, la presenza femminile è più consistente rispetto alle cariche elettive dei consigli.
In ogni caso, anche tra le nomine si nota "una tendenza netta": le donne "restano lontano dalla gestione dei budget più consistenti. Le assessore sono infatti molto più rare nelle tre materie che compongono la quasi totalità dei budget regionali: bilancio (dove sono appena il 15%), urbanistica, infrastrutture e trasporti (24%) e sanità (25%)".
La legge Delrio (56 del 2014) prescrive che per i comuni con una popolazione superiore ai 3mila abitanti "nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento, con arrotondamento aritmetico". Stando ai dati raccolti da Openpolis, però, "nei 67 capoluoghi di provincia andati al voto dopo l’introduzione della norma, solo in 41 casi si può dire che il principio è stato rispettato. In quindici città questo equilibrio può essere considerato rispettato solo ‘alla larga', cioè interpretando in maniera ‘estensiva' l’espressione ‘arrotondamento aritmetico'. In undici città la presenza di uomini e donne in giunta risulta squilibrata".
In Europa
Nel Parlamento europeo, le donne rappresentano il 37% dell'assemblea, il 31% nella commissione Europea, il ramo esecutivo dell'Ue. Se si guardano però le istituzioni più importanti per l’adozione delle linee politico-economiche, la presenza femminile crolla: nel Consiglio europeo le donne sono solo quattro su ventotto, il 14,29%. I numeri sono ancora più bassi all'Ecofin, l’istituzione più importante in materia di politica economica, finanza e fisco, dove la proporzione è tre su ventotto (10,71%); al Consiglio degli Affari esteri si scende a una donna su ventotto componenti, appena il 3,57%.
In Svezia c'è l'unico governo a maggioranza femminile (52%). Gli unici due paesi in cui c'è una donna alla guida dell'esecutivo sono la Germania e la Polonia. L'Ungheria vanta il 91% di parlamentari uomini, e nessuna donna nel governo così come in Grecia.
Nelle aziende
Per la prima volta gli incarichi di amministratore ricoperti da donne nel 2016 hanno raggiunto la soglia del 30% nelle aziende italiane quotate in borsa. Solo nel 2008 le poltrone occupate da donne negli organi di amministrazione e controllo delle società quotate erano 170, il 5,9% del totale.
Openpolis nota come questo "balzo in avanti" sia dovuto però "agli effetti della legge 120/2011, che per intervenire su una situazione da sempre fortemente sbilanciata a sfavore delle donne ha introdotto obblighi precisi per le società quotate": da agosto 2012, infatti, queste società sono state vincolate a prevedere nei propri statuti disposizioni per garantire l’equilibrio di genere negli organi di amministrazione e di controllo, da applicare al primo rinnovo e per tre mandati consecutivi. La norma prevede una scadenza, e quindi il vincolo durerà al massimo fino al 2023. "Si vedrà se davvero le novità intervenute in forza di legge si radicheranno nella società e saranno in grado di mantenersi anche senza prescrizioni ‘dall’alto'. Intanto possiamo dire che l’andamento intrapreso risulta abbastanza veloce: ai rinnovi degli organi sociali già avvenuti, nel complesso si è superata la soglia minima di amministratrici richiesta dalla legge, e cioè di almeno un quinto di amministratrici negli organi sociali al primo rinnovo e un terzo per i due successivi", si legge nel rapporto.
Anche nelle aziende, però, la situazione non è molto diversa da quella rilevata nel mondo della politica: le donne hanno ruoli di comando meno importanti. A crescere, anche in questo caso, sono i ruoli non esecutivi. Nel 68,56% dei casi si tratta di amministratrici indipendenti: figure non legate ai dirigenti esecutivi o agli azionisti, chiamate a vigilare nel solo interesse della società. Le amministratrici delegate sono ancora solo diciassette in tutto – il 2,5 degli incarichi femminili – e sono alla guida di aziende a bassa capitalizzazione e che in tutto raccolgono l’1,7% del valore di mercato di tutte le aziende esaminate dalla Consob; mentre solo il 3% è presidente o presidente onorario.
Le amministratrici, si legge nel dossier Openpolis, sono "mediamente più giovani, più istruite e con minori legami di parentela nella società in cui ricoprono il ruolo. In particolare le titolari di specializzazioni post laurea sono quasi il doppio degli amministratori. Ma il loro background è ulteriore conferma della minore presenza in ruoli esecutivi rispetto agli uomini. In effetti nel 2015 le manager in senso stretto sono il 54,1% delle donne contro il 76,5% degli uomini. Inoltre l’incidenza della provenienza dal mondo accademico è doppia per le donne rispetto agli uomini: il 12,2% delle amministratrici contro il 6,4% degli uomini".
Inoltre, tra le donne crescono gli incarichi in più società, gli "interlockers", fenomeno invece in calo tra gli uomini: le amministratrici titolari di poltrone in diverse aziende erano 76 nel 2013, il 13,72% degli interlockers totali, mentre nel se ne contano già 206 e arrivano al 41,68% del totale. Questo vuol dire che se da un lato aumentano gli incarichi, dall'altro i nomi sono sempre gli stessi.