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Ok al decreto sui Cpr in Albania: cosa succede agli stranieri in attesa di rimpatrio

Il governo italiano ha approvato un decreto che prevede il trasferimento dei migranti in attesa di rimpatrio in centri in Albania. Le modifiche, però, suscitano perplessità per i costi e le implicazioni giuridiche.
A cura di Francesca Moriero
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Il Consiglio dei ministri, conclusosi dopo circa due ore, ha approvato il nuovo decreto Albania.

Il governo di Giorgia Meloni ha introdotto oggi in Consiglio dei Ministri un decreto che cambia radicalmente la gestione dei migranti in attesa di rimpatrio. Il provvedimento prevede infatti la trasformazione dei due centri in Albania, Shengjin e Gjader, in veri e propri Centri di permanenza e rimpatrio (i cosiddetti CPR). Questi centri, fino a oggi rimasti vuoti e inutilizzati, sono stati bloccati a causa delle difficoltà legali e dello scontro tra l'esecutivo e la magistratura, che ha portato al fermo del trattenimento dei migranti, prima deciso dai giudici delle sezioni di migrazione e poi, in un secondo momento, dalla Corte d'Appello.

Dunque, con il decreto si cambia la destinazione d'uso delle strutture, rilanciando quello che finora si è rivelato un progetto problematico: il protocollo Italia-Albania, che aveva portato alla realizzazione dei due centri. Questa mossa comporterebbe però un costo significativo per lo Stato italiano, che potrebbe arrivare fino a 800 milioni di euro, necessari per l'adeguamento e la gestione delle strutture.

Shengjin e Gjader: cosa potrebbe cambiare nei centri di permanenza

La premier Giorgia Meloni rilancia così il suo progetto dopo i rallentamenti dovuti agli stalli legali: la soluzione proposta prevede il trasferimento in Albania di persone migranti in attesa di espulsione, già prive del diritto d'asilo. Se il decreto dovesse passare, i centri di Shengjin e Gjader, già esistenti in Albania, potrebbero essere riadattati per ospitare non solo migranti provenienti da Paesi che non sono considerati sicuri, ma anche quelli che sono già stati rifiutati dal sistema di accoglienza italiano. La misura prevede che i migranti possano restare nelle strutture fino a 18 mesi, il tempo necessario per completare le pratiche di espulsione verso i Paesi di origine.

Il governo italiano considera questo trasferimento una "soluzione per alleggerire la pressione sulle strutture di accoglienza" e per "svuotare i centri di permanenza in Italia". Secondo il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, l'intervento rappresenterebbe una "riattivazione parziale delle funzioni" dei centri, già impiegati per i rimpatri, ma da ora destinati a un potenziamento delle attività. "Potremo riportare a casa i soggetti che altrimenti finiscono per rendere le nostre città meno sicure. I rimpatri sono un tema che sta affermandosi nel dibattito politico in tutto il mondo, anche oltreoceano. A noi, oramai, lo chiede l'Europa. Finalmente. Dovremmo esserne tutti contenti", aveva dichiarato il ministro dell'Interno nei giorni scorsi.

Nonostante il parere favorevole del governo, però, l'iniziativa solleva perplessità in merito alla compatibilità con la normativa europea, poiché la prassi di trasferire migranti in Paesi che non sono né di origine né di transito non è prevista dalle leggi attuali.

Il problema dei costi: la logistica del trasferimento

Un altro aspetto delicato riguarda i costi legati alla logistica del rimpatrio: saranno molti i migranti trattenuti nei centri di permanenza in Italia che verrebbero ora trasferiti in Albania, dove attenderebbero l'espulsione. Il rimpatrio effettivo avverrebbe però solo dopo l'accordo con i Paesi d'origine, il che potrebbe determinare un continuo via-vai di persone migranti tra l'Italia e l'Albania. Questo, ovviamente, oltre a sollevare seri interrogativi riguardo la possibile violazione dei diritti umani, comporterebbe un notevole aggravio economico, con un aumento dei costi legati al trasferimento e alla scorta di poliziotti. Ogni persona migrante, infatti, deve essere accompagnata da due agenti di polizia durante il trasferimento, un onere che rischia di appesantire ulteriormente le risorse pubbliche destinate alla gestione di questa operazione.

Il nuovo piano di riconversione costerà alle casse dello Stato italiano fino a 800 milioni di euro.

I dubbi delle opposizioni: non basta un decreto legge

Le forze di minoranza sollevano numerose perplessità riguardo a questa mossa del governo. Il deputato del M5S, Alfonso Colucci, accusa il ministro Piantedosi di "fare il gioco delle tre carte" in relazione ai centri in Albania. Secondo Colucci, infatti, il governo italiano non potrebbe trasferire in Albania le persone già ospitate nei CPR italiani senza riscrivere il Protocollo con l'Albania e farlo approvare dai Parlamenti di entrambi i Paesi. Per Colucci, si tratta di un "accanimento su un progetto ormai fallimentare", che ha già comportato lo spreco di un miliardo di euro dei contribuenti italiani e che, se riproposto, rischia di generare ulteriori sprechi. Il deputato sottolinea anche il fatto che non sia "assolutamente possibile rimpatriare direttamente i migranti da lì".

Della stessa opinione è anche Matteo Renzi, leader di Italia Viva, che solo pochi giorni fa su X (ex Twitter) diceva: "Sono sconvolto. I responsabili di questo scempio sono a Palazzo Chigi: fa male al cuore vedere lo spreco di centinaia di milioni di euro letteralmente buttati via dal Governo italiano. Questi centri sono strutture inutili, figlie della propaganda di Giorgia Meloni. E gli italiani pagano, che amarezza".

Piantedosi: "Ampliato il centro, immediata attivazione"

"Abbiamo approvato un decreto legge che interviene sulla legge di ratifica del protocollo Albania, non sul contenuto del protocollo",  ha dichiarato in conferenza stampa dopo il Cdm il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, "la struttura già esistente si potrà utilizzare anche per le persone trasferite dall'Italia. Questo ci consentirà di dare immediata riattivazione a quel centro che non perde le sue funzioni già previste. Non viene snaturato, tutt'altro", ha aggiunto.

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