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Nave Aquarius

Aquarius2, la lezione di Msf e SOS Mediterranée: riconsegnare migranti alla Libia è un crimine

Medici Senza Frontiere e SOS Mediterranée, che operano a bordo della nave Aquarius, fanno sapere di essersi rifiutate di consegnare alla Guardia Costiera libica 11 migranti salvati in mare. La Libia non può essere considerata un porto sicuro, lo dice la Ue, lo dicono i giudici italiani e lo urla la nostra coscienza.
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Mentre non si fermano le morti in mare in quella che è la rotta più letale al mondo (negli ultimi giorni si sono moltiplicate le segnalazioni di naufragi al largo della Libia), all’orizzonte sembra profilarsi un nuovo caso politico, che potrebbe coinvolgere ancora il nostro Governo e le organizzazioni che operano a bordo della nave Aquarius 2. Poche ore fa, infatti, la nave, che ora batte bandiera panamense (e che fu protagonista di un caso molto complesso qualche mese fa), ha tratto in salvo 11 persone, che viaggiavano a poche miglia dalle coste della Libia, a bordo di un barchino in condizioni disastrate. Gli undici naufraghi sono ancora a bordo della Aquarius, dopo la decisione di SOS Mediterranée e Medici Senza Frontiere di non consegnarli alla Guardia Costiera Libica, che li avrebbe ovviamente riportati sulla costa. Una decisione che appare sacrosanta, non solo per motivi di carattere umanitario o "politico", ma perché è stata presa in rispetto delle convenzioni internazionali (UNCLOS sul diritto del mare, SOLAS per la salvaguardia della vita umana e protocolli SAR), dal momento che la Libia non può essere considerata un porto sicuro.

L’equipaggio della ONG, peraltro, aveva allertato le autorità libiche della presenza di un natante in difficoltà e solo successivamente, non ottenendo risposta, si era rivolta a quelle italiane, maltesi e tunisine. Solo Roma aveva risposto, assicurando che avrebbe avvisato la Guardia Costiera libica. L’equipaggio aveva però ritenuto di procedere alla messa in sicurezza delle 11 persone e successivamente di non acconsentire al trasbordo di esse sulla lancia della Guardia Costiera libica. Come detto, si tratta di una decisione confortata non solo dalle convenzioni internazionali, ma anche dall’orientamento dell’Unione Europea. Per la portavoce dell’esecutivo Ue Natasha Bertaud, ad esempio: “Nessuna operazione europea e nessuna imbarcazione europea riporta i migranti salvati in mare in Libia, perché non consideriamo che la Libia sia un paese sicuro”. L’alto rappresentante UE Federica Mogherini ha una posizione simile: “La decisione rispetto al fatto che i porti libici non siano porti sicuri è una decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo, quindi è una valutazione puramente giuridica sulla quale non c'è una decisione politica da prendere”. Orientamento condiviso anche dai giudici del Tribunale del Riesame di Ragusa, che nel respingere  il ricorso della procura di Catania contro il dissequestro della nave della ong spagnola Proactiva Open Arms, al centro di un’indagine di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, aveva ribadito come la Libia non potesse considerarsi un approdo sicuro secondo il diritto internazionale. Infine, sia detto per inciso, al momento neanche il nostro governo considera la Libia una zona sicura, tanto da continuare a trattenere l'ambasciatore a Roma per motivi di sicurezza. Perché dovrebbe essere sicura per i migranti, dunque?

Ora la situazione però rischia di complicarsi, perché Aquarius attende che Italia, Malta o altri Paesi della Ue indichino un place of safety in cui sbarcare gli 11 naufraghi soccorsi. Come riporta il giornalista Sergio Scandura, la stessa GC libica ha invitato la Aquarius a cercarsi un altro porto di sbarco, contattando un altro MRCC:

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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