“Discoteche aperte, ma università chiuse”: l’appello dei prof a Manfredi per riaprire gli atenei
Le università devono riaprire e devono tornare a pieno servizio per tutti gli studenti. Non hanno dubbi gli accademici italiani, che si mobilitano per chiedere al ministro dell’Università, Gaetano Manfredi, di riaprire tutte le sedi e tornare alla classica didattica in presenza. Sono 870 i professori universitari che hanno firmato la lettera indirizzata al ministro, aprendo anche una petizione per la riapertura delle università. La lettera evidenzia anche una netta bocciatura, quella della didattica a distanza. Utile in un periodo di emergenza, ma che non può di certo essere la soluzione da adottare a lungo. E viene bocciata anche l’ipotesi di una soluzione mista, quindi con metà degli studenti in aula e l’altra metà da casa.
Tra i promotori ci sono accademici italiani provenienti da tutto il territorio. La prima firmataria è Costanza Margiotta, docente di Filosofia del diritto a Padova. Ma anche tanti colleghi di altre città e università. Sia di area giuridica, come lei, sia di area sociologica, politologica, medica e filosofica, tanto per citarne alcune. La riapertura delle università, in realtà, al momento non è vietata. Dopo una chiusura forzata a causa del lockdown, ora gli atenei possono essere di nuovo aperti. Ma al momento lo sono solo a mezzo servizio, con il riavvio di qualche attività e di qualche biblioteca e laboratorio.
L'appello dei docenti: università devono riaprire
La condanna dei docenti alle decisioni del governo è netta: “Mentre si discute della riapertura parziale degli stadi a fine giugno per le partite di calcio, le università si stanno attrezzando per svolgere anche nel prossimo anno accademico l’insegnamento in presenza per pochi eletti e a distanza per gran parte dei loro studenti, per evitare che la presenza in aula incrementi la diffusione del contagio”. I docenti sottolineano come sia ormai possibile fare praticamente qualsiasi attività: gli studenti possono incontrarsi tra di loro ovunque, nei bar e in altri luoghi, ma non nelle aule universitarie. E stesso discorso vale per i docenti. Ancora, un’altra lamentela riguarda il fatto che il governo abbia sì pensato agli esami di maturità, ma non a quelli universitari che si dovranno svolgere quest’estate, senza regole precise e uniformi.
La bocciatura della didattica a distanza
Non si può andare avanti con la didattica a distanza, secondo i professori universitari, che anche da questo punto di vista non risparmiano critiche: “Ci sembra infatti inspiegabile che l’amministrazione pubblica, la quale dispone delle più ampie, profonde e diversificate competenze scientifiche e professionali, non si consideri in grado di elaborare un piano di rientro sicuro ed efficiente per le Università e praticamente solo per le Università, che di quel sapere sono la matrice e la culla. Ci sembra impossibile che si ritenga di non aver le forze per raggiungere l’obbiettivo di una didattica (ma anche di un’attività di ricerca) svolta “in presenza” per la stragrande maggioranza degli studenti”.
Il timore è che “si pensi che l’istruzione superiore italiana conti meno delle vacanze in spiaggia, dell’aperitivo al bar, del giro al centro commerciale o che le università non siano in grado di elaborare strategie per consentire una vera esperienza educativa, contenendo i rischi di contagio, e che siano meno capaci di farlo rispetto ai ristoratori o ai gestori turistici”. La didattica a distanza, spiegano ancora i docenti, rischia di azzerare il dibattito, di ridurre lo spirito critico. E anche di sminuire l’importanza della vita universitari e di tutti i suoi stimoli.
La didattica a distanza, quindi, va bene solo durante l’emergenza: “La didattica online è accettabile e, anzi benvenuta, per un breve periodo di emergenza, ma l’insegnamento è un’altra cosa. Quella che è in discussione è l’esistenza delle Università, al plurale, in alternativa alla Università (al singolare) della didattica a distanza foss’anche fatta dai Nobel”. E quindi bisogna ripartire, pensando a un nuovo modello, per esempio aumentando le borse di studio, “in primo luogo in forma di buoni affitto per gli studenti”.