L’annuncio della capotreno Trenord del convoglio Milano-Cremona, che ha invitato dagli altoparlanti i passeggeri a non dare denaro ai molestatori, ordinando a questi ultimi e agli “zingari” di scendere dal treno, ha condotto a una polarizzazione del dibattito in due, semplificatorie, fazioni: i pro e i contro. È il caso però di lasciare da parte le posizioni aprioristiche e analizzare il fatto e le reazioni.
Si deve chiarire, innanzitutto, che la frase riportata (“I passeggeri sono pregati di non dare monete ai molestatori. Scendete perché avete rotto. E nemmeno agli zingari: scendete alla prossima fermata, perché avete rotto i c…") non rappresenta un esempio di condotta corretta: gli altoparlanti devono essere usati per comunicazioni di servizio, ognuno è libero di dare denaro a chi preferisce, zingaro è un termine dispregiativo, “avete rotto i c…” è un’espressione scurrile e, soprattutto, la relazione tra molestatore e “zingaro”, così come l’ordine di scendere dal treno, sono connotati etnicamente e, quindi, razzisti.
Il razzismo sottostante alla frase non può essere giustificato da accuse più o meno fondate, da precedenti veri o presunti, o da aneddoti spesso venati a loro volta di razzismo: ordinare a un’etnia (perché questo sono rom e sinti) di scendere da un treno è una misura generalizzata su base etnica. Sostenere che questo non sia razzista significa negare l’evidenza.
Di fronte a un annuncio razzista, da utenti o da cittadini, è legittimo (a mio parere perfino lodevole) pretendere pubbliche scuse e una ferma presa di posizione da parte di Trenord e delle istituzioni a cui l’azienda garantisce un servizio pubblico. Ma questa richiesta non rappresenta, né dovrebbe sfociare, nel linciaggio della capotreno. Denunciare il suo comportamento scorretto e razzista non equivale a pretenderne il licenziamento: le sanzioni disciplinari saranno infatti eventualmente comminate dopo aver attivato il contraddittorio con la lavoratrice, che, a differenza di altri casi, ha un ruolo di pubblico ufficiale e ha commesso l’infrazione nell’esercizio delle sue funzioni e con mezzi di servizio.
Dall’altra parte, il linciaggio social, anche da parte di soggetti politici di primo piano (la Lega di Salvini, ad esempio), del passeggero che ha denunciato l'annuncio si basa non solo su stereotipi contro i rom, ma anche sull’idea che i lavoratori di Trenord siano esasperati. È vero? Molto probabilmente sì. Come spesso avviene, però, si riversa su un gruppo sociale un disagio che affonda le radici in altre cause, ignorate per superficialità, per mancate occasioni di elaborazione collettiva o per calcolo politico.
Ad esempio, l’esasperazione dei capotreno dipende dalla necessità di controllare e multare i passeggeri che viaggiano senza biglietto? Secondo l’allora amministratrice delegata di Trenord, Cinzia Farisè, intervistata l’anno scorso da Il Giornale, l’evasione tariffaria sulle tratte coperte dall’azienda sarebbe dell’1,5%: è certo una percentuale da ridurre drasticamente, ma delinea un panorama tutt’altro che drammatico se paragonato al tasso medio nazionale del 20% di passeggeri che viaggiano senza biglietto sui mezzi del trasporto pubblico locale.
Se la disonestà dei passeggeri preoccupa relativamente, più gravi si fanno i timori rispetto alla governance dell’azienda. Trenord è infatti una società a responsabilità limitata costituita da due attori principali, Trenitalia e FNM s.p.a., che ha come principale investitore la Regione Lombardia: si tratta quindi di un’azienda privata che garantisce un servizio pubblico su base regionale. I lavoratori si trovano allora a metà tra pubblico e privato: la richiesta di tutele deve così fare i conti sia con i finanziamenti pubblici stanziati, sia con le decisioni aziendali (di società private o a partecipazione pubblica). Non solo. I lavoratori Trenord arrivano da una fusione, ma pare debbano già assistere alla relativa scissione: il governatore lombardo Attilio Fontana ha infatti dichiarato, sulla base di un accordo siglato con Mazzoncini di Ferrovie dello Stato, che lo smembramento di Trenord in due distinte società (una controllata dalla Regione per i collegamenti suburbani intorno a Milano e una gestita da Trenitalia per il resto del territorio) sarebbe avvenuto entro la fine dell’anno. E se la ripartizione effettiva delle competenze e i contenuti dell’accordo apparivano già poco chiari, ecco arrivare l’azzeramento del consiglio di amministrazione di Ferrovie dello Stato, annunciato dal ministro Toninelli, a complicare ulteriormente il panorama gestionale della società lombarda.
Trenord comunque è in attivo, rispetto sia ai ricavi operativi, sia all’utile netto, nonostante diversi scandali ai suoi vertici: dalla condanna all’ex presidente Achille per truffa e peculato a quella al direttore generale di epoca formigoniana, Biesuz, per bancarotta fraudolenta, truffa e falso, dal conflitto di interessi nell’assegnazione degli appalti a Gavio fino al coinvolgimento dell’attuale presidente Gibelli nell’inchiesta a carico di Maroni sui rimborsi Expo.
Se le spese pazze di cui furono accusati i vertici possono indignare i dipendenti Trenord, a impattare concretamente sulle condizioni del loro lavoro è soprattutto il fatto che il personale sia sottodimensionato. Lo sciopero del 6 luglio, che ha paralizzato la Lombardia, si fondava proprio su questa istanza: secondo i sindacati, diverse corse al giorno vengono soppresse per carenza del personale, un dato che sembrerebbe almeno in parte confermato dal bonus che spetta agli abbonati di diverse tratte, a causa del mancato rispetto, da parte dell’azienda, dello standard di affidabilità previsto dal Contratto di Servizio.
Il sindacato Orsa, peraltro, denuncia pressioni da parte della dirigenza nei confronti dei lavoratori, affinché rinuncino ai diritti spettanti per legge. Ci si riferisce in particolare all’accusa di assenteismo contro i dipendenti che, avendo un familiare disabile da assistere, hanno diritto ai permessi retribuiti. Si arriverebbe a intimidire i lavoratori, convocati a colloqui privati, tramite lettere che – secondo quanto riportato da Orsa – si concluderebbero così: “Ci auguriamo che la presente comunicazione possa portare ad un miglioramento della sua prestazione lavorativa e le facciamo presente che la Società tiene sotto controllo e valuta su base continua la sua prestazione lavorativa riservandosi di intraprendere tutte le azioni a disposizione a tutela dei propri interessi e della regolarità del servizio”. Le dichiarazioni alla stampa di Trenord, che tramuterebbe retoricamente le (legittime) assenze dei lavoratori in assenteismo (disonesto), metterebbero “seriamente a rischio l'incolumità del personale in servizio, esposto all'aggressività dilagante di una clientela esasperata, frustrata e fomentata da simili dichiarazioni”.
Gli scandali ai vertici e le conflittualità tra parte dei lavoratori e dirigenza non sono gli unici problemi che un dipendente Trenord deve affrontare: basta consultare i documenti dell’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria per accorgersi di ulteriori criticità. L’Ansf, ad esempio, ben prima dell’incidente di Pioltello, aveva denunciato con un apposito rapporto i problemi di manutenzione delle infrastrutture (cioè dei binari, la cui competenza spetta però a RFI) e di segnalazione delle anomalie dei treni (che invece spettano a Trenord): i ferrovieri, così come i pendolari, viaggiano ogni giorno su convogli e direttrici con problemi individuati con precisione dal rapporto sulla sicurezza ferroviaria. Non solo. Con uno specifico audit, l’Agenzia ha verificato come, nel 2016, ci siano stati da parte di Trenord abusi del lavoro straordinario e del periodo di riposo, che sembrerebbero sintomi di un personale sottodimensionato, non sufficiente per il carico di lavoro che il servizio di trasporto pubblico lombardo comporta.
Insomma, fonti di esasperazione, per la capotreno di Trenord, ci sono. Così come, rispetto alle intemperanze e agli abusi da parte dei viaggiatori peggiori, esistono reazioni accettabili ed efficaci: dalle telecamere installate su diversi treni all’impiego di agenti di vigilanza, fino all’intervento delle autorità di pubblica sicurezza. Il fatto che la lavoratrice si sia sentita in diritto e in dovere di veicolare un messaggio razzista dagli altoparlanti risponde a una generalizzata tendenza di quest’epoca: diminuiscono i crimini e aumenta l’insicurezza socio-economica ma, invece di interrogarsi sulle cause di quest’ultima e affrontarla politicamente, si attizzano le paure più elementari, basate su chiusure, rabbia e stereotipi. Il 7 agosto 2018, sul Milano-Cremona delle 12.50, è andato in scena l’attuale panorama politico: disagi, disservizi, mancanze di manutenzione, carenza di personale, rischi per la sicurezza e per i diritti dei lavoratori e dei cittadini. Ma gli zingari scendano e ci illuderemo di aver risolto i problemi.