Se non altro, dopo settimane di ultimatum, di frecciatine, mezze minacce e mediazioni, siamo giunti al momento dello show-down. Italia Viva non reputa sufficiente il documento di sintesi politica di Conte e Gualtieri, dunque vuole che la cabina di regia informale di Chigi consegni il prima possibile il testo integrale del Recovery Plan per trarre le proprie valutazioni. Al documento, lo ha ribadito ieri sera Matteo Renzi ai suoi, deve essere legata la presenza nell’esecutivo: “Se ci va bene lo votiamo, altrimenti le ministre si dimetteranno e capiremo il da farsi”. Resta inteso, in ogni caso, che i renziani si aspettano che l’eventuale accoglimento delle osservazioni al piano comporti anche una presa d’atto delle conseguenze politiche. Non si tratta solo di cambiare l’allocazione delle risorse del NextGenEu, spiegano fonti di Italia Viva, quanto di invertire la rotta dell’esecutivo con scelte strategiche, che devono avere precise conseguenze politiche. Detto in altri termini: il piano serve a cambiare passo e direzione, non avrebbe senso cambiare le politiche del governo su temi cruciali (lavoro, scuola e infrastrutture per cominciare) lasciando al timone sempre gli stessi interpreti. Ovviamente, le dimissioni di Conte con un reincarico lampo servirebbero anche a dare forma a questo momento di svolta. Riepilogando: mediazione in tempi rapidissimi sul Recovery Plan, rimpasto di governo e crisi pilotata verso il Conte ter.
Piano ambizioso, forse troppo, anche a giudicare dai posizionamenti degli altri partiti che compongono la maggioranza. A sintetizzare la linea di Palazzo Chigi ci ha pensato il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, in un’intervista al Corriere della Sera: “Precipitare il Paese nel caos e nell'incertezza non sarebbe compreso e apprezzato dalle famiglie, dai lavoratori e dalle imprese, che si aspettano meno polemiche e più fatti”. Lo stesso Conte, poche ore prima, aveva lanciato un appello alla responsabilità, aprendo però al rafforzamento della “coesione delle forze di maggioranza e della solidità della squadra di governo”, stilando una vera e propria “lista di priorità che valgano a indirizzare e a rafforzare l'azione del governo sino alla fine della legislatura”. La traduzione dal politichese è: siamo disposti alla mediazione praticamente su tutto, ma senza aprire una crisi politica che risulterebbe incomprensibile e dannosa.
Linea che non dispiace neanche al Partito Democratico, che però chiede precise garanzie programmatiche e di “direzione politica”: contare di più, insomma, con una forte limitazione del margine operativo dello stesso Presidente del Consiglio. Del resto, ricordano dal PD, non è pensabile che si continui sulla falsariga di quanto avvenuto negli ultimi mesi, con Conte a gestire aspetti cruciali della risposta alla pandemia praticamente da solo, relegando a mere comparse i referenti politici della maggioranza e insistendo su ministri che hanno mostrato di non essere pienamente in grado di gestire una crisi così profonda.
Paradossalmente, si tratta di considerazioni condivise anche da molti big del Movimento 5 Stelle. Perché se vero che le indiscrezioni filtrate in questi ultimi giorni sui giornali sulla possibilità di scaricare Conte non hanno molta consistenza (ma rispondono a giochetti interni in pieno stile Prima Repubblica…), allo stesso tempo va detto che c’è una certa insofferenza nel constatare come l’attivismo di Chigi stia penalizzando la visibilità del Movimento, anche sui temi e sulle battaglie storiche. Un partito così diviso è un partito per forza di cose debole, ragionano i 5 Stelle, che Conte rischia di oscurare completamente, continuando a rifiutare un supporto più strettamente politico all'azione di governo. Il nome per Chigi è "indiscutibile", ribadiscono tutti i maggiorenti grillini, ma l'assetto dell'esecutivo è tutt'altro che blindato.
Il problema è che tutte queste considerazioni devono trovare in qualche modo una sintesi nelle scelte dello stesso Presidente del Consiglio. E Conte non va mai sottovalutato quando si tratta di trovare soluzioni a crisi intricate, veti incrociati e strategismi più o meno alla luce del sole. È nota la sua contrarietà a dimissioni al buio (in generale alle ipotesi di una crisi pilotata da Renzi, Zingaretti e Di Maio), così come è noto che alcuni dei suoi fedelissimi continuano a tentarlo con l'idea di una prova di forza in Parlamento, in modo da far uscire allo scoperto le "reali intenzioni" di Renzi e non solo. Tuttavia, il fallimento del tentativo di formare un gruppo di responsabili, la compattezza dei renziani, l'impossibilità di agitare lo spettro delle urne (stante anche la contrarietà del Quirinale), l'inesistenza di maggioranze alternative sul suo nome e, ovviamente, l'urgenza di chiudere la partita del NextGenUE (su cui siamo in enorme ritardo), consigliano maggiore prudenza al Presidente del Consiglio e ne limitano oggettivamente le opzioni. Qualcosa, insomma, Conte dovrà cedere.