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Amnesty a Fanpage: “Vietare il burqa non serve a liberare le donne, ma a farle chiudere in casa”

La Lega ripropone il divieto dell’uso del velo nei luoghi pubblici con una proposta di legge che aggiunge anche il reato di “Costrizione all’occultamento del volto”. La misura, criticata per il rischio di discriminazione, solleva interrogativi sull’efficacia di un divieto rispetto a politiche di inclusione e pari opportunità. Amnesty a Fanpage.it: “Una donna che vuole sentirsi liberata ha bisogno di ascolto non di provvedimenti restrittivi”
A cura di Francesca Moriero
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La Lega torna a riproporre una delle sue battaglie storiche: vietare l’uso del burqa nei luoghi pubblici. Questo, almeno, è quanto stabilito in una proposta di legge firmata dal deputato Igor Iezzi, depositata di recente alla Camera. Il divieto si riferisce all’utilizzo di abiti "destinati a coprire il volto, come il burqa o il niqab", che il partito vorrebbe proibire "non solo per motivi di sicurezza pubblica", ma anche per il "rispetto della dignità delle donne".

Ma come ha spiegato Amnesty a Fanpage.it " Il passaggio tra la difesa delle donne e la difesa dei nostri valori ha un confine molto labile".

La legge introdurrebbe un nuovo reato: la "costrizione all’occultamento del volto", che prevede fino a 2 anni di carcere, una multa fino a 30mila euro e l’impossibilità di ottenere la cittadinanza italiana per chi ne sia responsabile. La norma punirebbe quindi "chi costringe qualcuno a coprire il volto attraverso violenza, minacce o abuso di potere, oppure generando uno stato di grave ansia o timore per la propria sicurezza o quella di un familiare". Alla base della proposta ci sarebbero "esigenze di sicurezza, ma soprattutto di integrazione": le misure, si legge, sono pensate per proteggere "le donne obbligate a coprire il volto" e per ribadire che "nella nostra cultura, secondo i valori costituzionali e i principi europei, non è accettabile che una donna sia costretta a comportamenti o a indossare abiti che la pongano in una condizione di sottomissione e discriminazione".

Una legge ad hoc per le donne musulmane che, tuttavia, solleva molte polemiche: vietare il velo, potrebbe infatti essere in realtà facilmente percepito come un atto discriminatorio e patriarcale, volto a criminalizzare la religione islamica.

Le dinamiche di oppressione, sia nell’Islam che in altre religioni, sono molto complesse. Molte donne che si identificano visibilmente come musulmane, potrebbero trovarsi sempre più isolate, marginalizzate e private dei loro diritti fondamentali. Ogni donna, indipendentemente dalla sua fede, dovrebbe poter scegliere cosa indossare, senza subire pressioni, discriminazioni o minacce. Ma è davvero possibile affrontare una questione così complessa attraverso un divieto, senza promuovere politiche di inclusione, pari opportunità e sostegno concreto?

Di questo, Fanpage.it ne ha parlato con Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. 

Cosa pensa Amnesty della proposta della Lega di vietare l'uso del burqa negli spazi pubblici? 

Questa proposta rientra in quella serie di leggi o proposte di maschi che stabiliscono cosa sia bene o male per le donne. Si distingue da altri provvedimenti perché individua come soggetto il maschio costrittore, e capisco la logica, ma ci sono interrogativi. Il primo è che si presume che al cento per cento tutte le donne con niqab o con il burqa siano costrette, e forse la realtà è più complessa, in parte è così ma è più complessa. Bisognerebbe dare voce a queste donne.

Il divieto del burqa contribuirebbe alla liberazione e all'emancipazione delle donne musulmane? 

Questa è una retorica che abbiamo sentito spesso, dal 2001, dall'intervento militare in Afghanistan. Abbiamo visto che le donne in quei vent' anni hanno goduto di maggiori libertà, ma quella libertà in realtà se la sono presa loro. Il burqa era l'aspetto più evidente. Come in Iran: l'hijab è l'aspetto più esteriore, più evidente di un apartheid di genere, che però riguarda molto altro. Bisogna stare attenti, la realtà è più complessa.

Quali sarebbero per le donne gli effetti di un divieto generalizzato del burqa?

I promotori di questa proposta non so quanto abbiano provato a immaginare che le donne obbligate a non indossare il burqa sarebbero poi costrette dal maschio costrittore a stare a casa. Perché quello stesso maschio costrittore non le farebbe girare senza il burqa. Sono disposti i promotori a entrare nei luoghi in cui si consuma la costrizione, cioè la violenza domestica, cioè la sopraffazione, e cercare di impedire questo fenomeno? Perché poi quando si pretendono provvedimenti per gli spazi pubblici, e si ignora quello che accade in casa, le donne no, non vengono liberate affatto.

Di cosa ha bisogno una donna musulmana per sentirsi libera?

Una donna che vuole sentirsi liberata ha bisogno di ascolto e di politiche di integrazione, che riconoscano e prendano in considerazione la situazione particolare delle donne, già discriminate su più livelli, più che di provvedimenti restrittivi.

Un tema come quello dei diritti delle donne può essere strumentalizzato per stigmatizzare una comunità religiosa e alimentare xenofobia?

Partiamo dal presupposto che ci sia un intento di tutelare gli interessi delle donne, certamente rimane il sospetto che coloro che girano indossando il burqa o il niqab non siano proprio viste come vittime, ma siano viste solamente come minacce. E il passaggio tra la difesa delle donne e la difesa dei nostri valori ha un confine molto labile.

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