Altro che modello Italia: per la Ue la nostra sanità ha pochi fondi e si è mossa con lentezza
L’Italia deve investire sulla sanità. A dirlo è la Commissione europea all'interno delle cosiddette “Raccomandazioni specifiche per Paese”, uno strumento interno alla governance europea che valuta come i singoli Paesi stiano portando avanti le priorità individuate a livello Ue e invita o prescrive eventuali riforme. Il testo quest’anno tiene conto dell’impatto della pandemia da Coronavirus e misura la situazione economica di conseguenza.
Roma ha preso misure coerenti con le linee guida Ue e ha fatto un “grande sforzo per mitigare la diffusione del virus”, ma siamo molto lontani da quel “modello italiano” che secondo il governo veniva imitato nel resto del continente. Anzi: “La frammentazione del sistema sanitario e il coordinamento tra le autorità centrali e regionali ha rallentato l’implementazione delle misure di contenimento”. Non solo: “La risposta dei sistemi sanitari regionali alla crisi si è basata principalmente su una mobilitazione straordinaria, in particolare del personale sanitario e dei servizi sociali. Questo ha compensato i limiti dell’infrastruttura fisica, del numero degli operatori sanitari e degli investimenti negli anni passati”. Il merito dunque va tutto a medici e infermieri perché “nonostante la spesa pubblica sulla sanità sia più bassa della media Ue”, garantiscono un giudizio sull’accesso alle cure e il livello di eccellenza molto positivo.
A preoccupare l’Unione europea è soprattutto la disuguaglianza tra regioni: “è probabile che le conseguenze socioeconomiche della pandemia siano distribuite in modo disomogeneo nei territori a causa di disparità economiche e sociali di lunga data, divergenti potenzialità di competitività e grado di dipendenza dal turismo”. Critiche anche per la situazione occupazionale di giovani e donne e al digital divide che impedisce a molti di aver accesso a servizi essenziali, come l’istruzione o la semplice possibilità di sbrigare pratiche amministrative. Per Bruxelles gli investimenti post Covid si devono concentrare quindi su risorse “verdi e sostenibili” e sul digitale che aiuta a raccogliere le sfide poste dall’epidemia. Un consiglio che l’Ue rivolge a tutti i suoi Stati Membri al fine di rientrare nelle priorità che la Commissione ha stabilito quando si è insediata.
Le raccomandazioni specifiche per Paese sono solitamente un appuntamento fondamentale del funzionamento dell’Ue, perché è in questa sede che Bruxelles sceglie se aprire le procedure per disavanzi eccessivi. Gli Stati Membri devono dimostrare di avare una finanza pubblica solida e soddisfare due criteri fondamentali: il loro disavanzo di bilancio non deve superare il tre per cento del Pil, il debito pubblico non deve superare il 60 per cento del Pil. L’Italia è da sempre molto lontana dal secondo parametro e l’impatto della crisi del Coronavirus sarà sicuramente importante, visto che dalle previsioni si arriverà quest’anno a raggiungere il 158,9 per cento e l’anno successivo si scenderà al 153, 6 per cento. Per ora non c’è da preoccuparsi, la Commissione giudica che non è il caso di attivare procedure per disavanzi eccessivi, ma non perde occasione di ricordare che l’impalcatura che ha retto le politiche finanziare dell’Unione fino a ora rimane salda, si sta agendo semplicemente in deroga per evitare conseguenze ancora più pesanti.La temporanea deviazione dal Patto di Stabilità non può compromettere “la sostenibilità fiscale a medio termine” e il “Consiglio può anche decidere, su raccomandazione della Commissione, di adottare una traiettoria fiscale rivista”.