L'Italia è uno dei paesi occidentali dove la conflittualità sociale e la violenza connessa a manifestazioni politiche è più bassa. Nonostante ciò, lo spauracchio del terrorismo e della lotta armata che hanno segnato la storia repubblicana, rendono possibile criminalizzare ogni forma anche minima di conflitto legato alle tensioni sociali: per una protesta studentesca che termina con qualche incidente e cassonetto ribaltato subito vengono chiamate in causa le Brigate Rosse.
Questo perché il discorso pubblico delle istituzioni, la liturgia dello Stato e i suoi miti, sono ampiamente frutto della scontro con le organizzazioni armate negli anni Settanta, e della repressione dei movimenti del lungo Sessantotto italiano. E anche la vicenda di Alfredo Cospito per molti versi non fa eccezione.
L'anarchico detenuto nel carcere di Sassari al 41bis è arrivato oggi al centesimo giorno di sciopero della fame. Cospito si trova nel regime di carcere duro fondamentalmente per non aver abiurato e per non aver collaborato con lo Stato. La colpa di Cospito è di aver continuato a sostenere la necessità di utilizzare metodi violenti nella lotta politica, e di averlo ribadito in diversi documenti rivolti al dibattito dell'area anarchica. Documenti vale la pena sottolineare, estremamente critici verso il mondo anarchico. Se Cospito non è isolato politicamente e umanamente dalla sua area politica, sicuramente le sue posizioni sono marginali all'interno anche del dibattito anarchico.
Secondo il decreto che dispone per Cospito il 41bis, il detenuto sarebbe il leader della Federazione Anarchica Informale, in grado di istigare e organizzare dal carcere violente azioni eversive. La realtà però ci racconta qualcosa di molto diverso: non solo non esiste in Italia nei fatti, se non vagheggiata da alcuni gruppi largamente inchiestati, intercettati e repressi, nessuna lotta armata o terrorismo di matrice anarchica, ma anche le sentenze dei tribunali non riconoscono questa che viene presentata come un'evidenza.
Infatti la sentenza del processo scaturito dall'operazione Bialystok, le cui ragioni sono state depositate solo qualche giorno fa, riconoscono una realtà molto diversa. La sentenza per gli anarchici arrestati a Roma nel giugno del 2020, con riferimento alla firma Federazione Anarchica Informale e Fronte Rivoluzionario Internazionale, sconfessa l'assunto accusatorio, non riconoscendo l'esistenza di un'associazione corrispondente, facendo decadere le aggravanti di terrorismo, e spiegando come questa non sia in ogni caso in essere in questo momento. Non esiste dunque, per la Corte d'Assise, nessuna organizzazione all'esterno con cui Cospito dialoga, tantomeno nessuna associazione eversiva di cui sarebbe il leader.
E allora perché Cospito si trova al 41bis come un boss mafioso in grado di ordinare stragi e ritorsioni? Semplicemente perché la cultura giuridica italiana, formatasi negli anni della lotta armata, è evidentemente orientata alla vendetta per chi non collabora, per chi non abiura. Da una parte l'utilizzo dell'istituto del pentimento da una parte, e dall'altra la strada della dissociazione, che avrebbe potuto aprire a una soluzione politica della lotta armata mai perseguita davvero dalle istituzioni, hanno segnato profondamente la prassi e la cultura delle nostre istituzioni, di giudici e magistrati.
La colpa di Cospito è di essere in maniera irriducibile un nemico dello Stato, tanto da rivendicare le proprie azioni e da ribadire di non aspettarsi nulla di diverso che di essere condannato. Quello che contesta è il regime di detenzione a cui è sottoposto, la non vita che deve condurre al 41bis e un ergastolo da scontare nonostante l'attentato che gli viene contestato non abbia provocato nessuna strage e, da quanto ha dichiarato, non aveva obiettivo di nuocere a nessuna persona fisica.
La questione dunque che abbiamo di fronte è come si deve comportare lo Stato di fronte ai sui nemici? Se per loro vale una tortura legalizzata, la sproporzione della pane e un'esecuzione capitale mascherata. La risposta più eloquente forse arriva dalle parole dell'ex magistrato Piercamillo Davigo intervista sul Fatto Quotidiano: "In Gran Bretagna i combattenti dell'Ira che hanno fatto lo sciopero della fame sono morti. Non è questione di umanità ma di credere nei valori delle nostre leggi. Uno stato non può lasciarsi ricattare se crede nei suoi valori". Se Cospito se la vuole vedere con lo Stato dunque, ne pagherà le conseguenze. Come i detenuti dell'Ira che si sono lasciati morire per rivoltarsi alle torture e alle condizioni di detenzione subite nelle carceri inglesi. E poco importa dell'incredibile sproporzione delle forze in campo e dell'evidente sproporzione tra pena e delitto, poco importa se il 41bis appare un istituto di detenzione al limite della legalità, che dovrebbe essere comminato solo in casi davvero straordinari e di necessità come sottolineato anche dal Consiglio d'Europa.
Ma lo Stato che si vendica di un nemico mostra forza o debolezza? Se le nostre istituzioni lasceranno morire Alfredo Cospito senza nessuna ragione che il suo essere un anarchico e di credere in alcune idee e prassi, non si mostrerà più forte e inflessibile, ma perderà solo di credibilità di fronte ai suoi cittadini.
Il 7 marzo la Cassazione deciderà sulla richiesta avanzata dai legali di Alfredo Cospito di rivedere la detenzione al 41bis, avendo accettato di anticipare l'udienza. Per quel giorno Alfredo Cospito potrebbe essere morto. E noi potremmo non sapere mai se aveva ragione: se perderà la vita nella sua battaglia l'udienza non si terrà.