Centri in Albania, pronti meno della metà dei posti: “Su procedure di sicurezza personale formato solo ieri”
“Questa è la prima volta che veniamo qui”, raccontano due giovani di una cooperativa che si occupa della formazione del personale che lavora nella struttura italiana per migranti di Gjader, Albania. “Siamo venuti qui per formare il personale albanese che lavora nel centro per migranti sulle procedure antincendio”, continuano.
A poche ore dell’arrivo dei 16 profughi soccorsi a largo di Lampedusa due giorni fa, poi trasbordati sulla nave della Marina Militare Libra e adesso in viaggio verso Shengjin, alcuni lavoratori albanesi dichiarano ai microfoni di Fanpage.it che “solo oggi ci hanno fatto fare il training per la sicurezza nella struttura di Gjader”.
“Noi veniamo qui solo per fare training al personale tecnico”, ci spiegano, “oggi abbiamo fatto il primo training antincendio, per venire qui da Tirana impieghiamo circa due ore”.
Mentre l’Italia attende con non poche perplessità l’inizio – sulla pelle dei 16 profughi che arriveranno oggi – di questa controversa procedura tra mille dubbi e incertezze, in Albania il tempo sembra fermo. Dall’esterno il centro di Gjader appare ancora un progetto raffazzonato: sono meno della metà ad oggi i moduli agibili, meno della metà degli 880 posti previsti nel centro di accoglienza per richiedenti asilo e dei 144 del Cpr, mentre solo 12 sono i posti pronti sui 20 previsti per il penitenziario.
All’esterno di quella che appare come una Guantanamo albanese battente bandiera italiana, nessuno, o quasi, vuole parlare. “Noi lavoratori albanesi siamo spaventati”, dice un giovane, “abbiamo paura di sbagliare e di perdere il posto. Non abbiamo idea di quello che faranno qua dentro, per questo preferiamo stare zitti”.
Tra loro qualcuno parla italiano, come d'altronde gran parte della popolazione albanese che, almeno una volta nella vita, ha avuto un'esperienza di emigrazione in Italia. “Ho vissuto dieci anni in Italia”, racconta un uomo fuori dal centro, “ho lavorato lì, poi per problemi di famiglia sono tornato in Albania, adesso lavoro qui. È la prima volta che mi mandano al centro, non so niente di questo posto, non conosco questa zona, non ho mai visto il centro al suo interno”.
E nel silenzio generale, qualche coraggioso spiega il suo malcontento: “Io vivo qui da cinquant'anni, in una casa proprio dietro il nuovo centro per migranti”, racconta un anziano signore appoggiato sull’uscio della sua casa, “quando hanno dismesso la caserma militare ho iniziato a coltivare quel terreno, poi hanno deciso di fare il centro per migranti ma nessuno mi ha detto niente. Sono arrabbiato. Amo questo posto, ho girato il mondo dall'Italia alla Germania, all'Olanda ma poi sono voluto tornare qui. Adesso non lo riconosco. Meloni non mi piace per niente, non è una brava persona”, conclude.
Tra la rabbia, l’omertà, lo sfruttamento e la paura di perdere un’opportunità di lavoro di cui questa terra non sembra abbondare, l’Albania si prepara allo sbarco di 16 profughi provenienti da Egitto e Bangladesh, che sanno cosa hanno lasciato ma non cosa li attende: non l’Italia, non l’Europa, ma un posto da cui di solito la gente scappa. Sarà sulla loro pelle che da oggi si giocherà la scommessa, tutta politica, di Meloni ed Edi Rama.