È una indagine Svimez, l'associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, a riaprire il dibattito sui trasferimenti erariali e sul carico fiscale nelle diverse zone del Belpaese. Lo studio, dal titolo “La pressione tributaria comunale: i valori per il 2013” di Federico Pica e Salvatore Villani (condotto su dati del Ministero delle Finanze), analizza "l’andamento delle entrate tributarie dei Comuni e della pressione fiscale dal 2007 al 2013 nelle diverse regioni a statuto ordinario". Si parte dalla constatazione del calo costante delle entrate tributarie comunali, quantificabile nell'ordine del 17 percento al Nord e dell'11 percento al Sud, cui corrisponde però un aumento decisamente diseguale dei trasferimenti erariali centrali: + 72,8% al Nord e + 31% al Sud. In altre parole: ad una diminuzione delle entrate dei singoli Comuni corrisponde un aumento dei trasferimenti dallo Stato centrale molto diseguale su base territoriale, con una penalizzazione evidente degli enti meridionali.
A ciò bisogna aggiungere il dato sulla pressione fiscale comunale, mediamente più alta nel Mezzogiorno se comparata al Pil:
Sostanzialmente, si legge nel documento Svimez, "a parità di ricchezza, i cittadini meridionali pagano di più ma usufruiscono di servizi ben peggiori non in linea con i tributi versati". Sotto accusa dunque sia i trasferimenti "non perequativi", che la vulgata tradizionale secondo cui sarebbero le "tasse settentrionali" a mantenere anche le regioni meridionali (in tal senso si fa notare come, almeno a livello comunale, ad esempio "a fronte di un reddito di 28.765 euro pro capite, in media ogni cittadino del Veneto ha versato al proprio comune di residenza 409 euro, contro gli oltre 458 di un campano, che però ha un reddito di 12mila 500 euro più basso). La conclusione è chiara: "Il fenomeno contribuisce ad accrescere le diseguaglianze del Paese e non aiuta a spezzare il circolo vizioso che da sempre frena lo sviluppo delle aree più povere".