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Al G8 di Genova “condotte di vera tortura”: maxi risarcimento per una manifestante tedesca

La giudice del tribunale civile di Genova ha riconosciuto all’allora 22enne Tanja W. un risarcimento di 175 mila euro da parte dello Stato italiano per aver subito la “lesione di diritti della persona a protezione costituzionale” alla scuola Diaz e a Bolzaneto. Ma ancora in Italia continua a mancare il reato di tortura.
A cura di Claudia Torrisi
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A quindici anni dal G8 di Genova, un tribunale italiano ha riconosciuto a una manifestante tedesca di aver subito "condotte di vera e propria tortura" alla scuola Diaz e alla caserma di Bolzaneto, nonché la "lesione di diritti della persona a protezione costituzionale che non sono oggetto di tutela della norma penale sanzionatrice in questione". Per questa ragione, la giudice del tribunale civile di Genova Paola Luisa Bozzo Costa ha riconosciuto a Tanja W., che allora aveva ventidue anni, un risarcimento di 175 mila euro da parte dello Stato italiano – il più alto finora stabilito in sede civile per le violenze commesse dagli agenti.

Nella sentenza si legge che il collegio dei periti "ha potuto accertare che Tanja ha riportato postumi permanenti. E che gli stessi sono derivati non tanto dalle percosse di cui la parte ha riferito nel dibattimento del processo Diaz, quanto soprattutto dalle gravi violenze alle quali ha direttamente assistito, rimanendo sconvolta". La donna tedesca soffre, a distanza di quindici anni, di "fenomeni di reattività a stimoli che ricordano il trauma" quando si trova in contatto con forze dell'ordine o quando si trova a contatto con persone in divisa e quando qualcuno "le si avvicina troppo", e di Dps (disturbo post-traumatico da stress) insorto a causa della sequela di fatti violenti" di cui è stata testimone alla scuola Diaz e a Bolzaneto. In quell'occasione è emersa "la volontà di cagionare dolore nell'abusare delle rispettive posizioni di potere e autorità".

La giudice di Genova scrive chiaramente che si è trattato di tortura: "Non si può parlare d’i iniziative criminose dei singoli agenti, realizzate a esclusivo fine egoistico e per un tornaconto personale, perché è evidente dalle deposizioni dei funzionari che si versava in una situazione di deriva violenta, e non giustificata da un’azione di polizia". In particolare, "le condotte incriminate hanno generato atti di perquisizione e di arresto illeciti, con violazione di diritti della persona a protezione costituzionale quali il domicilio, la libertà, l’onore, l’immagine e la reputazione". Secondo la sentenza "nessun illecito è più mortificante e penoso di quello che si sostanzia nella diretta aggressione contro l'incolumità personale" e "il danno da lesione del diritto costituzionalmente garantito va riconosciuto in misura pari al danno biologico permanente, con un aumento della misura economica del danno morale soggettivo e delle sofferenze psicologiche". Il valore che generalmente viene corrisposto oscilla per il giudice "tra 96 e 144 euro al giorno", ma nel caso specifico "merita di essere portato a 300 euro al giorno, il triplo del valore mediano per le lesioni conseguite, la brutalità, l'irrazionalità delle aggressioni". A Tanja andranno 40 mila euro per i reati di violenze e calunnie, 80 mila per i due giorni trascorsi a Bolzaneto e 55 mila 418 euro per il danno subito (compreso quello morale e l'invalidità permanente per danno biologico fissata al 12%). Come spiega Repubblica, a causa della rivalutazione monetaria a partire dal 2001 la cifra raggiunge i circa 190 mila euro a cui però ne vanno sottratti i 15 mila della provvisionale in sede penale.

"Ancora una volta un giudice italiano ci ricorda come in Italia non si possa fare giustizia. Era già accaduto per le torture nel carcere di Asti. In quel caso il giudice mise nero su bianco che le violenze subite da due detenuti erano torture ma che, per l’assenza di una norma ad hoc, non erano perseguibili come tali", ha commentato il presidente dell'Associazione Antigone Patrizio Gonnella, secondo cui "il nostro paese resta il paradiso dei torturatori". Nonostante l'Italia abbia ratificato nel 1989 la Convenzione delle Nazioni unite contro del 1984, e nonostante le ripetute denunce e appelli di associazioni e società civile, nel nostro paese continua a mancare un reato specifico per punire la tortura. Il ddl che avrebbe dovuto introdurlo – protagonista di un complicato iter parlamentare – è al momento incagliato in Aula al Senato, dopo l'ennesimo rinvio di quest'estate. Questa lacuna lunga quasi trent'anni, però, non ha impedito il riconoscimento dell'esistenza di pratiche di tortura in Italia nelle aule di tribunale: i giudici ne hanno spesso delineato i profili ma, mancando il reato, le loro mani sono rimaste legate, lasciando torturatori impuniti e torturati senza giustizia.

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