Affitti, non esiste l’obbligo di ritingere le pareti alla fine del contratto: lo dice la Cassazione
La Corte di Cassazione, con la sentenza 29329/2019, ha definito nulla la clausola che obbliga un inquilino in affitto a ritinteggiare l'immobile alla fine del contratto. Si tratta di una questione che spesso crea contrasti al termine di una locazione: anche se questa non è scritta nel contratto, spesso viene ugualmente pretesa dal locatore. Che però, stabilisce la Cassazione, non ne ha alcun diritto.
La sentenza spiega che la tinteggiatura non è mai dovuta: "a clausola che obbliga il conduttore a eliminare, al termine del rapporto, le conseguenze del deterioramento subito dalla cosa locata per il suo normale uso (nella specie ponendo a suo carico la spesa per la tinteggiatura delle pareti) deve considerarsi nulla, ai sensi dell’art. 79 della stessa legge 392/78 perché, addossando al conduttore una spesa di ordinaria manutenzione che la legge impone, di regola, a carico del locatore, attribuisce a quest’ultimo un vantaggio in aggiunta al canone, unico corrispettivo lecitamente pattuibile a carico del conduttore".
Infatti, come spiega il Sole 24 Ore, quando il proprietario dell'immobile costringe l'inquilino a ritinteggiare le pareti della casa affittata, otterrebbe un vantaggio extra-canone, a cui la Cassazione ha detto stop. Ovviamente questo non significa che l'immobile possa essere riconsegnato in uno stato degradato: congruentemente con la durata della locazione, la casa deve tornare al proprietario in stato accettabile, e quanto più vicino possibile a quello in cui si trovava al primo giorno del contratto d'affitto. Ma il proprietario non deve pretendere che la casa venga ristrutturata a nuovo dall'inquilino che la lascia. I lavori di rimaneggiamento, fra cui il ritinteggiare le pareti, spetterà dunque al proprietario.