A far discutere maggiormente è la dichiarazione del senatore Maurizio Romani, che, dopo la riunione degli eletti grillini a Palazzo Madama commenta: "È emerso un grande astio qui dentro, anche se nessuno ha il coraggio di ammetterlo. Sembra già che siamo divisi in due gruppi, forse tre […] Se volete che non parli con nessuno, allora buttatemi fuori". Romani si riferisce al confronto interno al Movimento in atto in questi giorni, che sostanzialmente vede il riproporsi delle divergenze fra i lealisti a tutti i costi, gli integralisti del "verbo grillino" e i cosiddetti dissidenti o malpancisti che dir si voglia. Una divisione che solo in parte ha a che fare con la possibilità di un dialogo (o addirittura un sostegno) con le altre forze politiche presenti in Parlamento, ma che riflette anche la complessità dei rapporti politico – organizzativi interni al Movimento. Divergenze riassunte bene da Pietro Salvatori per Huffington Post: "Il primo (gruppo ndr) fa del Non statuto, del Regolamento, un dogma. La vaghezza dei testi fondamentali è sufficiente per far rientrare sotto quel cappello qualunque tipo di problematica si ponga volta per volta. Se non bastasse, ci sono i post del leader. […] Il secondo affonda le radici nei cinque stelle delle origini. Tutto può essere messo in discussione, tutto deve essere valutato singolarmente ed empiricamente. Non statuto e Regolamento fissano i tre-quattro punti fondamentali, tutto il resto può essere criticato. Anche i post di Grillo, soprattutto se il capo non li condivide prima".
E nella riunione odierna sono riemerse perplessità legate ad alcune scelte concrete, ma che hanno il loro fondamento proprio in quella contraddizione mai risolta fra "gli uguali" e i "più uguali degli altri". Grillo, certo, ma non solo. Perché alla lista dei capi non legittimati in alcun modo a dettare la linea del Movimento si sono aggiunti anche altri, per lo più molto vicini a Casaleggio: è questa l'accusa che si legge tra le righe in alcuni interventi. In primis quello di Luis Orellana, che attacca: "Il problema della comunicazione è inaccettabile, l'intervento di Messora, che ha ironizzato su di noi, ci ha offeso. Un nostro dipendente non può parlare così". Sulla stessa linea Campanella: "Dobbiamo discutere su come far loro mollare l'osso. Dobbiamo parlarne anche con Beppe Grillo, con lui la comunicazione non è continua"; mentre la Bencini è meno diretta ma non meno critica: "A chi dobbiamo rapportarci? Bisognerebbe trovare un sistema per fare una sintesi. La base dei nostri militanti è più ampia delle persone con cui abbiamo rapporti diretti".
Certo, la grande maggioranza dei senatori difende gli addetti alla comunicazione 5 Stelle e non manca chi (Martelli, ma non solo) pensa ad un modo per far parlare solo il portavoce. Ma l'impressione è che se la crisi di Governo dovesse precipitare lo scontro potrebbe passare dal metodo al merito. E questa, a ben guardare, sarebbe una pericolosa novità per i 5 Stelle. Intanto, a fugare ogni dubbio sulla linea interviene ancora Grillo: "Siamo in guerra, chi si guarda l'ombelico è fuori". Amen.