Aborto, imporre un limite alla quota di medici obiettori per salvaguardare la 194
L'obiezione di coscienza, che in certe regioni e città italiane sfiora il 90% del totale degli addetti, sta diventando un problema e sta mettendo in seria difficoltà molte donne che fanno fatica ad accedere all'interruzione volontaria di gravidanza e spesso sono costrette a intraprendere dei veri e propri viaggi della speranza nel tentativo di trovare un posto letto in una struttura che non le faccia attendere oltre lo scadere del termine delle 12 settimane imposto dalla legge 194. Stando ai dati pubblicati nell'aprile 2016 dal Ministero della Salute, in molte regioni italiane, soprattutto nel Sud Italia, la percentuale degli obiettori di coscienza è ben oltre il 70%, una classifica capitanata dal Molise che addirittura conta il 93,3% di medici obiettori in tutta la regione.
Nel tentativo di porre un argine a un fenomeno che potrebbe davvero arrivare a ledere i diritti delle donne che necessitano di accedere al servizio di interruzione volontaria di gravidanza, l'associazione Laiga – Libera associazione italiana ginecologi per l'applicazione della legge 194/78 – ha messo sul piatto una serie di proposte: un albo pubblico dei singoli ospedali in cui vengano inseriti i dati relativi all'obiezione di coscienza- in modo da monitorare il fenomeno in maniera più circoscritta – una quota del 50% dei posti banditi con concorso pubblico riservata ai medici non obiettori e, infine, prevedere l'obbligo della presenza di almeno una struttura per provincia predisposta a eseguire aborti volontari e terapeutici. "Le nostre proposte sarebbero anche di facile attuazione, se ci fosse la volontà politica", ha spiegato la ginecologa e presidente di Laiga, Silvana Agatone.
Le proposte avanzate dalla Laiga cercano in qualche maniera di "regolamentare" un fenomeno che ha ormai assunto proporzioni enormi in certe parti d'Italia e che spesso costringe le donne a emigrare fuori dai propri territori di residenza in cerca di strutture che possano aiutarle entro i termini stabiliti dalla legge, cosa non sempre possibile a causa delle lunghissime liste d'attesa presenti in alcuni ospedali causate dalla penuria di medici obiettori assunti per lo specifico compito. La legge 194, spiegato in soldoni, prevede che ogni ospedale dotato di un reparto di ginecologia e ostetricia sia obbligato a garantire l'accesso all'interruzione volontaria di gravidanza e impone dunque la presenza di almeno un medico atto a effettuare questo tipo di operazioni. Stando però ai dati, solo il 65,5% delle strutture garantisce alle donne questo diritto, ovvero solo 62 ospedali sui 94 presenti in Italia.
Per quale motivo? E' presto detto: a causa del sovrannumero di medici obiettori di coscienza, molto spesso i reparti si ritrovano con team formati esclusivamente da medici obiettori e talvolta le strutture sanitarie ricorrono all'assunzione di ulteriore personale medico a contratto impiegato solo ed esclusivamente per le interruzioni di gravidanza, con notevoli aggravi per le casse pubbliche. Talvolta però, e nemmeno tutte, infatti esistono numerosi casi di ospedali "fuori legge" e altrettanti che, una volta che per il ginecologo non obiettore arriva il momento di andare in pensione, si trovano a dover chiedere momentaneamente il reparto Ivg per il tempo necessario a trovare un sostituto. E' dunque per porre un argine all'allargarsi della platea di medici obiettori, a scapito dell'applicazione della 194, che la Laiga è intervenuta presentando le sue proposte di "riforma" cercando di evitare di lasciare le donne in balia delle convinzioni morali altrui.