Aborto, come viene applicata la legge 194 dopo 44 anni: 31 strutture con 100% di sanitari obiettori
Come funziona in Italia la legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza (IGV) dopo 44 anni dalla sua entrata in vigore? La legge in molte aree del Paese è disapplicata. Se ne è discusso alla Camera oggi, in un convegno dell'Associazione Luca Coscioni dal titolo ‘Aborto, come sta la 194?', in cui sono stati presentati gli ultimi aggiornamenti dell'indagine ‘Mai dati – Dati aperti sulla 194', realizzata da Chiara Lalli, docente di Storia della Medicina e bioeticista e Sonia Montegiove, giornalista e informatica.
Le due studiose hanno contattato le singole strutture sanitarie o le Asl, per sottolineare le eventuali criticità che riguardano la legge, e hanno fatto una mappa dell'esistente. Il risultato è preoccupante: nel nostro Paese ci sono ben 31 strutture (24 ospedali e 7 consultori) con il 100% di medici ginecologi, anestesisti, infermieri e oss obiettori di coscienza. Quasi 50 quelle in cui gli obiettori superano il 90% e oltre 80 le strutture con un tasso di obiezione superiore all'80%. Il paradosso italiano è che mentre in tantissimi paesi europei la pandemia ha fatto sì che venisse estesa la terapia farmacologica per ridurre gli accessi nei contesti ospedalieri a rischio, in Italia alcuni centri hanno invece sospeso il servizio di aborto farmacologico.
La relazione del ministero sulla 194 ha dati vecchi, del 2019
"Avere un quadro chiaro dello stato di salute di questa legge purtroppo non è facile, perché non abbiamo dati aggiornati e dettagliati", ha dichiarato Filomena Gallo, avvocato e segretario nazionale dell'Associazione Luca Coscioni. Il problema principale è che la Relazione ministeriale sulla legge 194, che elabora il ministero della Salute, mostra solo i dati chiusi e aggregati per Regione. L'ultima relazione del ministero poi, che è stata presentata al Parlamento lo scorso 16 settembre 2021, contiene dati relativi al al 2019, quindi ormai ampiamente superati.
"Abbiamo deciso di fare degli accessi civici generalizzati – ha raccontato questa mattina Sonia Montegiove – inviando oltre 180 Pec in prima battuta e quasi altre 150 in seconda battuta, chiedendo il numero di persone che lavorano nelle strutture e il numero degli obiettori. Siamo arrivati circa al 60% di risposte. Il nostro obiettivo lo abbiamo raggiunto: avere questi dati aperti a disposizione di chiunque può consentire non solo un'analisi sull'applicazione della legge, ma anche ad attuare i correttivi che servono per aggiustare le situazioni critiche. Ci sono 31 strutture con 100% di obiezioni, sono dati già vecchi, perché sono passati sei mesi. Quelli che abbiamo riportato sono dati ufficiali, non sono dati dal basso. Le storie sono importanti ma non danno la fotografia di quello che accade nelle strutture".
"L'Umbria è stata la molla che ci ha portato a fare quest'inchiesta – ha proseguito Montegiove – Nel febbraio dell'anno scorso ho fatto un accesso civico generalizzato, e un'azienda ospedaliera mi ha prima risposto che c'era il Covid, poi sono passati 7 mesi. Quella di Terni ci ha detto che ci sono 33 obiettori, ma non sappiamo qual è la percentuale degli obiettori sul totale. In Umbria abbiamo un paio di ospedali con il 100% di obiezioni, e su 12 anestesiti 11 obiettori".
Non tutti i non obiettori eseguono IGV
"Questi dati possono essere già vecchi, ma il nostro intento era quello di dimostrare quanto sia importante averli, con un flusso continuo. L'ultima relazione ministeriale del ministero della Salute si riferisce al 2019, e aggrega i dati per nazione o per Regione. Non sapere quello che succede nel singolo ospedale non ci dà la possibilità di scegliere la struttura. Per fare una scelta servono dati dettagliati e aggiornati. Per esempio il caso che più ci ha sorpreso è quello del S. Eugenio di Roma: 21 ginecologi totali, 10 non obiettori, ma solo 2 eseguono l'IVG. Una decina di ospedali ci ha comunicato poi questo dato. L'elemento più importante è che questo numero non compare nei documenti ufficiali, nella relazione ministeriale. La media nazionale dei ginecologi non obiettori è del 33% ma non sappiamo chi esegue l'interruzione volontaria di gravidanza", ha detto Chiara Lalli. In pratica in alcune strutture i non obiettori eseguono solo ecografie, oppure ci sono non obiettori che lavorano in ospedali nei quali non esiste il servizio IVG.
"Alcuni non obiettori lavorano in ospedali che non sono punti IVG. Ci servono i dati aperti. La risposta migliore è stata quella della PA di Trento ci ha risposto dicendo che tutti i dati sono raccolti sul sito del ministero della Salute. Approssimativamente sul totale delle strutture presenti sul territorio nazionale un 30% è totalmente nell'ombra, non sappiamo quello che succede in quelle strutture", ha aggiunto Lalli.
"Si attende la sentenza della Corte Suprema degli Stati uniti sulla storica sentenza Roe v. Wade del 1973, che ha permesso il diritto all'aborto fino a oggi. C'è il rischio che quella sentenza venga ribaltata, spaccando in due gli Stati Uniti. Anche noi prendiamo le mosse da una sentenza della Corte Costituzionale del 1975 – ha detto Anna Pompili, ginecologa di AMICA, che fa parte dell'Associazione Luca Coscioni – Ma noi una legge l'abbiamo, e c'è un articolo che chiede al ministero di relazionale al Paramento sullo stato di applicazione della legge 194. I dati che abbiamo però sono stravecchi, perché in questi due anni con il Covid è successo di tutto. Avere un'immagine sfocata non ci permette di avere un'idea sulle ricadute pratiche, al fine di rimediare alle criticità. Oggi questa ricerca ci fa vedere i problemi nella loro dimensione reale, è quello che ci serve se vogliamo cercare di eliminare le ingiustizie, le disuguaglianze. L'obiezione di coscienza diventa un problema solo se le Regioni non applicano la legge e non assolvono ai compiti che la legge prevede. Questo significa che bisogna garantire alle donne le tecniche più moderne e meno rischiose per l'interruzione della gravidanza, come recita l'articolo 15 della legge. Oggi il regime ambulatoriale è una realtà solo in alcune Regioni, ma questo lo sapremo solo tra quattro anni, visti i tempi di pubblicazione della relazione ministeriale".
L'Associazione Luca Coscioni, insieme a Lalli e Montegiove, ha scritto una lettera al ministro della Salute Roberto Speranza e al ministro della Giustizia Marta Cartabia chiedendo "con urgenza" che "i dati sull'applicazione della legge 194 siano in formato aperto, di qualità, aggiornati e non aggregati" e che "venga inserito nei LEA un indicatore rappresentativo della effettiva possibilità di accedere alla IVG in ciascuna regione".