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A Piacenza per usare una sala comunale devi dichiararti antifascista: cos’è il bollino rosso

Il Comune di Piacenza ha introdotto un regolamento che impone una dichiarazione di antifascismo per poter usufruire delle sale pubbliche. La misura, difesa dalla maggioranza di centrosinistra come tutela dei valori costituzionali, è stata duramente criticata dal centrodestra, che la considera una limitazione della libertà di espressione. Il dibattito accende la riflessione su cosa significhi oggi essere antifascisti.
A cura di Francesca Moriero
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Vuoi usare una sala comunale? Devi dichiararti antifascista. Questa è la sintesi della norma approvata dal Consiglio comunale di Piacenza con il voto della maggioranza di centrosinistra (Pd, Civica Tarasconi, Piacenza Coraggiosa e Alternativa per Piacenza) che prevede che chiunque, privati cittadini, associazioni, enti e comitati, voglia affittare uno spazio pubblico debba sottoscrivere una dichiarazione di adesione alla Costituzione e di rifiuto di ideologie fasciste, razziste e sessiste.

La misura non riguarda solo l'utilizzo delle sale pubbliche, ma anche le collaborazioni e i patrocini concessi dal Comune: secondo i promotori, il regolamento è un atto di coerenza con i principi democratici sanciti dalla Carta costituzionale e "un'azione concreta per impedire l'uso di spazi istituzionali da parte di organizzazioni che si rifanno all'estrema destra".

Le origini della proposta

L’idea di introdurre un "bollino antifascista" nasce sei anni fa, nel 2019, dopo che l’ex leader di Avanguardia Nazionale, Stefano Delle Chiaie, fu invitato a Piacenza dal circolo neofascista Bombacci per un evento nella Casa delle Associazioni di via Musso, una struttura comunale. L'iniziativa scatenò proteste politiche e l'incontro fu annullato dalla Prefettura. Da quel momento, la sinistra propose di introdurre un filtro antifascista per l'uso degli spazi pubblici, misura che è diventata realtà nel 2025 con l'approvazione del nuovo regolamento.

Lo scontro tra maggioranza e opposizione

L'approvazione del provvedimento ha generato un acceso dibattito tra la giunta di centrosinistra e le forze di opposizione di centrodestra, che hanno definito la norma "ideologica e liberticida".

L'assessore Luigi Rabuffi (Alternativa per Piacenza) ha difeso la scelta sottolineando il ritorno di fenomeni di odio e discriminazione: "I rigurgiti dell’estrema destra xenofoba e razzista stanno tornando con forza, alimentati dalla povertà e dall’ignoranza. Non sono più avvisaglie, ma certezze. Il nostro compito è tenere alta la guardia".

Rabuffi ha anche ribadito il valore simbolico della misura: "Pretendere la firma su un modulo non è garanzia di rispetto dei valori costituzionali, ma serve a ricordare a tutti che la Costituzione è antifascista". Sulla stessa linea Matteo Anelli (Piacenza Coraggiosa), che ha attaccato la destra dichiarando che chi non si dichiara antifascista o è fascista o appartiene a quell'area politica "che strizza l’occhio a chi ha nostalgia del Ventennio".
Anche il circolo "Rosa Luxemburg" di Rifondazione Comunista ha ribadito il principio costituzionale dell'antifascismo:
"Il fascismo è stato dichiarato fuori legge e non si può accettare che nel 2025 venga relegato a un’esperienza del passato. Esistono ancora forze politiche di tale ispirazione, ed è nostro dovere contrastarle".

Di tutt'altro avviso il centrodestra, che ha attaccato invece duramente il provvedimento, definendolo un'operazione "ideologica e discriminatoria". Patrizia Barbieri (Civica Barbieri-Liberi, ex sindaca di Piacenza) ha denunciato il carattere divisivo della misura: "Concentriamoci sui veri valori della Costituzione: siamo tutti contro i regimi totalitari, sia di destra che di sinistra. Questo bollino è un’imposizione ideologica che mette in imbarazzo la città".

Lega e Fratelli d'Italia hanno rincarato la dose: il consigliere leghista Luca Zandonella ha sottolineato la contraddizione della misura: "Un antifascista antisemita o un brigatista rosso potranno tranquillamente affittare una sala comunale. Questo è il paradosso del vostro regolamento". Anche Matteo Salvini ha commentato ironicamente la vicenda: "Non siamo su Scherzi a Parte. Ma davvero questa è la priorità della sinistra? Non hanno di meglio da fare?".

Anche il portavoce del "Popolo della Famiglia", Mirko De Carli, ha accusato la giunta di voler censurare le idee scomode:
"Se per antifascismo si intende la repressione delle opinioni altrui, allora ci dichiariamo orgogliosamente anti-antifascisti".

Quel che è certo è che il dibattito sull'antifascismo non è relegato al passato, ma continua ad accendere lo scontro politico anche nel 2025.

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