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A che punto sono i lavori per una tassa globale sui patrimoni dei miliardari

La proposta avanzata da Brasile, Francia e altri Paesi per varare una tassa globale che colpisca i patrimoni delle persone miliardarie ha ricevuto una battuta d’arresto: gli Stati Uniti, infatti, si sono detti contrari. Continuano le procedure anche per la global minimum tax sulle multinazionali.
A cura di Luca Pons
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È in salita la strada per una legge mondiale che obblighi i miliardari a pagare il 2% del loro patrimonio in tasse: prima ancora che le trattative abbiano avuto il via, gli Stati Uniti si sono opposti. L'iniziativa era partita dal Brasile, che quest'anno è alla guida del G20, e aveva avuto l'appoggio anche di altri Stati, come Francia, Germania, Spagna e Sudafrica. L'idea sarebbe quella che in tutto il mondo le circa 3mila persone che hanno un patrimonio superiore al miliardi di dollari debbano versare almeno il 2% del loro patrimonio complessivo.

In questo modo, si limiterebbe la tendenza a spostare i propri patrimoni negli Stati con regimi fiscali favorevoli. Le somme raccolte permetterebbero poi agli Stati di investire di più in priorità come la riduzione delle disuguaglianze economiche.

Ma ad opporsi, in un'intervista al Wall Street Journal, è stata la segretaria del Tesoro degli Stati Uniti Janet Yellen. Un ‘no' che pesa e potrebbe rendere quasi impossibile un accordo mondiale. Yellen ha spiegato: "Crediamo in una tassazione progressiva, ma l'idea di un qualche accordo globale per tassare i miliardari con i ricavi poi ridistribuiti in qualche modo non ci trova d'accordo".

D'altra parte, gli Stati Uniti applicano già un sistema che rende meno ‘interessante' un'imposta simile: negli Usa non vengono tassati solo i redditi prodotti nel Paese, ma quelli prodotti in tutto il mondo dai cittadini Nel corso dell'amministrazione Biden è arrivata la proposta per alzare l'imposta sui guadagni di chi ha un patrimonio al di sopra del 100mila euro (portandola al 25%), ma la patrimoniale non è nei piani del governo statunitense.

La segretaria del Tesoro avrà modo di ribadire la sua contrarietà anche durante l'incontro del G7 dei ministri delle Finanze, che si svolgerà a Stresa (Piemonte) dal 23 al 25 maggio. Ciò di cui sicuramente si parlerà, al G7, è la global minimum tax, una tassa del 15% per le multinazionali che – anche in questo caso – dovrebbe essere estesa a tutto il mondo in modo da limitare gli effetti dei paradisi fiscali.

Circa 140 Stati hanno già trovato l'accordo per questa imposta, ma nella sua applicazione a livello mondiale finora ci sono state diverse resistenze. Tanto che anche il ministro italiano Giorgetti si era detto pessimista sulla possibilità di attuare davvero la global minimum tax in tutto il pianeta. È chiaro che, se la tassazione non è uguale in tutto, perde di efficacia e crea di nuovo degli Stati in cui le multinazionali possono spostarsi per pagare meno imposte. La stessa segretaria Yellen era stata favorevole all'ipotesi della tassa globale sulle multinazionali, partecipando ai negoziati. Il motivo per cui la nuova imposta non è ancora in vigore negli Stati Uniti è che il Congresso, in seguito all'opposizione dei repubblicani, non ha dato la sua approvazione all'accordo finale.

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