A che punto è la tassa sugli extraprofitti delle banche e come può cambiare
La tassa sugli extraprofitti delle banche è tornata ai margini del dibattito politico, ma i lavori per modificarla in Parlamento continuano e tengono accese le tensioni tra Forza Italia e il resto della maggioranza. Per "extraprofitti delle banche" il governo intende quei guadagni che le banche in Italia hanno fatto, nell'ultimo anno circa, perché la Bce ha alzato i tassi di interesse: da una parte sono aumentate le rate dei mutui, afferma l'esecutivo, mentre dall'altra non sono cresciuti allo stesso modo gli interessi che le banche pagano a chi ha un conto corrente da loro. Perciò, si è creato un profitto "ingiusto", come l'ha definito Giorgia Meloni.
L'imposta dovranno pagarla tutte le banche che già oggi versano le tasse in Italia. Pochi giorni fa, Marina Berlusconi (la cui azienda di famiglia, Fininvest, detiene anche il 30% del gruppo Mediolanum) ha criticato la norma definendola "fuorviante e demagogica". Forza Italia ha depositato diversi emendamenti per modificare e contenere la norma, mentre il ministro dell'Economia Giorgetti l'ha difesa e la stessa presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha detto che i cambiamenti si potranno fare solo "a parità di gettito" per lo Stato.
Cos'è la tassa sugli extraprofitti delle banche e come vuole cambiarla FI
La norma prevede, per il 2023, di tassare al 40% il margine di interesse che le banche hanno registrato nel 2022 o nel 2023 (a seconda di quale è più alto), se questo supera di una certa percentuale il margine di interesse registrato nel 2021. In tutto, l'imposta pagata non può essere più alta dello 0,1% del totale dell'attivo della banca nel 2022. Lo Stato deve usare i soldi per finanziare un fondo di garanzia che già esiste dedicato ad assistere le famiglie con i mutui per la prima casa e per "interventi volti alla riduzione della pressione fiscale di famiglie e imprese".
La tassa sugli extraprofitti delle banche è inserita nel cosiddetto decreto Asset, che il governo ha approvato a inizio agosto. Ora il testo è stato assegnato alla commissione Finanze del Senato. Qui sono arrivati numerosi emendamenti da parte dei senatori. Ce ne sono diversi depositati dall'opposizione, ad esempio il Movimento 5 stelle ha chiesto di estenderla per un altro anno (facendola pagare nel 2024 e nel 2025). Italia viva, il partito di Matteo Renzi, ha proposto di sostituire la tassa con un contributo di solidarietà deciso dalle banche stesse, mentre il Pd ha chiesto di escludere le banche più piccole, che fanno attività sul territorio e finanziano soprattutto famiglie e piccole imprese.
Gli emendamenti più interessanti però sono quelli di Forza Italia. Nonostante sia un partito della maggioranza di governo, FI si è da subito opposto alla norma. Ora, la sua proposta è innanzitutto di chiarire che la tassa sarà valida "esclusivamente per il 2023", come già annunciato in ogni caso dal governo. In più, si chiede di escludere le banche con un attivo al di sotto dei 30 miliardi di euro, e soprattutto di rendere l'imposta in parte deducibile: circa un quarto dei soldi versati per la tassa sugli extraprofitti potrebbe essere poi scalato dalle altre imposte, come l'Ires e l'Irap. Si tratta di modifiche che ovviamente sono tutt'altro che "a parità di gettito" come chiesto da Meloni: rispetto alla stima di 1-2 miliardi di euro fatta dal governo, gli introiti per lo Stato verrebbero decisamente ridotti.
Quando sarà approvata la tassa e qual è il piano del governo
L'iter della legge è ancora lungo, sulla carta: dovrà approvarla la commissione in Senato, poi arriverà il voto dell'Aula e il decreto passerà alla Camera, dove ci lavorerà nuovamente una commissione e poi arriverà il voto finale. In realtà, però, si parla di meno di tre settimane: il decreto legge è stato approvato dal governo a inizio agosto e pubblicato in Gazzetta ufficiale il 10 agosto; la legge dà al Parlamento due mesi di tempo da quel momento per convertirlo in legge, altrimenti decade. La maggioranza, quindi, cercherà di chiudere la questione entro la prima settimana di ottobre.
Ieri è arrivata una prima apertura: Antonio Tajani, leader di Forza Italia e vicepresidente del Consiglio, ha detto che se arrivasse un accordo interno al governo per modificare la norma, FI sarebbe disposto a ritirare gli emendamenti che ha presentato, L'ipotesi è quella di raggiungere un compromesso, limitare l'impatto della tassa senza forzare Lega e Fratelli d'Italia (e soprattutto Giorgia Meloni) a fare marcia indietro su un provvedimento che ha molto pubblicizzato.
"La presidente del consiglio è stata molto chiara, ha detto che è pronta a fare aggiustamenti e correttivi al testo e ho apprezzato molto le sue parole", ha detto Tajani. "Qualora ci fosse un accordo, con un testo del governo, siamo pronti a ritirare gli emendamenti. Lavoriamo per un compromesso, vogliamo raggiungere un obiettivo che permetta di scrivere meglio il testo senza modificare il principio giusto di chiedere alle banche un sostegno in questo momento particolare. Il testo va corretto per non penalizzare risparmiatori e piccole banche. Bisogna dare anche un segnale ai mercati internazionali".
Quali conseguenze potrebbero esserci per i mutui
Una possibilità è che le banche, davanti al pagamento di una nuova imposta, potrebbero decidere di aumentare i tassi d'interesse dei mutui già attivi. I mutui a tasso fisso già attivi non avrebbero nessuna conseguenza, dato che il tasso di interesse è concordato all'inizio e non cambia nel tempo. Al contrario, i mutui a tasso variabile potrebbero vedere delle conseguenze: la stima di alcuni operatori del settore è che potrebbe esserci un aumento dello 0,5%. Si tratta, comunque, di previsioni che nessuna banca al momento ha confermato: resta da vedere se una volta entrata in vigore la norma si registreranno effettivamente dei rialzi.