A che punto è il processo per l’omicidio di Giulio Regeni: Schlein al sit-in davanti al Tribunale
C'è anche la segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, al sit-in fuori dal tribunale di Roma, dove oggi è in programma la nuova udienza del Gup nel procedimento per la morte di Giulio Regeni. "Siamo qui per dare un segnale di vicinanza alla famiglia di Giulio Regeni e alle tante persone che in questi anni non hanno mai smesso di chiedere verità e giustizia", ha detto Schlein, abbracciando Paola e Claudio, i genitori del ricercatore assassinato a Il Cairo nel 2016. "Crediamo fortemente che questo processo debba andare avanti, debba essere fatto, e siamo qui con questa speranza", ha aggiunto la segretaria dem.
Il processo vede imputati quattro 007 egiziani. Nell'ultimo anniversario del sequestro di Giulio Regeni, Schlein aveva accusato il governo di credere alla versione egiziana, nonostante le autorità de Il Cairo non abbiano mai aiutato a scoprire la verità. "Vogliamo verità e giustizia – aveva scritto la deputata del Pd in un post sui social – Assurdo che il governo creda alle false rassicurazioni egiziane. Non hanno mai collaborato né fornito gli indirizzi dei torturatori".
Perché il processo Regeni è in stallo
Il processo è in stallo nonostante la Procura di Roma sia a conoscenza dei nomi dei quattro indagati, cioè degli esponenti dei servizi segreti egiziani accusati di aver rapito, torturato e ucciso Regeni. Le autorità de Il Cairo infatti non hanno mai fornito i loro indirizzi, necessari per poter notificare gli atti. Un passaggio fondamentale perché il procedimento prosegua. Se chi viene accusato, non sa di esserlo, non può infatti difendersi: proseguire con il processo senza che gli imputati abbiano la possibilità di difendersi, quindi, sarebbe una violazione dei loro diritti.
"Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abedal Sharif: siete a conoscenza del processo, presentatevi il 3 Aprile, alle ore 11, in udienza al Tribunale di Roma", ha scritto sui social l'avvocata della famiglia Regeni, condividendo le foto degli accusati.
Da quando il cadavere di Giulio Regeni venne ritrovato, nella periferia della capitale egiziana, le autorità italiane e i familiari del ricercatore ucciso hanno sempre fatto molta fatica a ricostruire la dinamica di quanto accaduto, a causa dei continui insabbiamenti e depistaggi messi in atto dai servizi segreti egiziani.
Le accuse alle autorità egiziane
Le autorità de Il Cairo prima parlarono di un incidente stradale (nonostante il corpo del ricercatore mostrasse segni evidenti di tortura, tra bruciature di sigarette e coltellate) e poi di un omicidio per ragioni passionali e infine di un regolamento di conti nel traffico di droga. Le autorità egiziane, poco dopo l'assassinio di Regeni, affermarono di aver ucciso i responsabili durante una sparatoria. Dichiararono che si trattava di criminali specializzati nei sequestri di stranieri e dissero di aver ritrovato anche una borsa appartenuta al ricercatore nel luogo dello scontro armato con la banda.
Per gli inquirenti italiani, però, non si trattò che di un tentativo di depistare il corso delle indagini. Del resto, quella versione fu smentita qualche tempo dopo dalla stessa Procura de Il Cairo. Che però si rifiutò sempre di collaborare con quella di Roma.
Come stanno adesso le cose
Le indagini per l'omicidio di Giulio Regeni si sono concluse nel 2020 e l'anno seguente sono stati rinviati a giudizio quattro 007 egiziani: appunto il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel Mohamed Ibrahim e Usham Helmi, e il maggiore Magdi Ibrahim Abedal Sharif. Sono accusati di sequestro di persona, lesioni personali gravissime (il reato di tortura, tanto discusso oggi, è stato introdotto nel codice penale solo in seguito a questo caso) e omicidio.
Senza poter notificare gli atti agli indagati, cosa che al momento risulta impossibile senza i loro indirizzi, però il processo è di fatto fermo. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha incontrato il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi durante una visita a Il Cairo. E aveva raccontato di aver discusso con lui del processo: "Sia il presidente sia il ministro degli Esteri mi hanno assicurato la volontà dell’Egitto di rimuovere gli ostacoli che possono creare problemi. Non c’è stata, devo dirlo agli italiani, nessuna reticenza da parte egiziana", aveva detto.
In merito a questi ostacoli e alla volontà egiziana, Tajani sarebbe dovuto comparire insieme alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni davanti al Gup. L'Avvocatura dello Stato, però, si è poi opposta alla decisione affermando che non si potessero divulgare i contenuti di quei colloqui bilaterali senza chiedere la disponibilità dell'altra parte coinvolta. Cioè dell'Egitto.