70 mila, 80 mila, 12 mila, sono questi i numeri delle dirette Facebook di Luigi Di Maio, Matteo Salvini e Matteo Renzi, ma andiamo con ordine. Poco dopo la decisione del Presidente della Repubblica Mattarella di rimandare indietro la lista dei ministri il Movimento 5 Stelle scende in piazza a Fiumicino. Ci sono i suoi leader da Carla Ruocco ad Alessandro Di Battista, c'è anche il suo leader politico: Luigi Di Maio. La sua pagina Facebook inizia a trasmettere in diretta l'evento e tra alti e bassi raggiunge il picco di 70 mila connessi contemporanei. Sono quasi le 23 e mentre si sta consumando la più grave crisi istituzionale della storia repubblicana 70 mila persone assistono alla diretta M5s che toccherà le 2.2 milioni di visualizzazioni totali su una pagina che conta 1.1 milioni di fan.
Poco dopo è il momento di Matteo Salvini che, nonostante l'ora tarda, riesce a fare anche meglio toccando un picco di 80 mila connessi contemporanei e 4.1 milioni di visualizzazioni complessive: numeri da prima serata di RaiUno. Il leader leghista può contare su una pagina che ha quasi il doppio dei fan di Di Maio, 2.1 milioni e una popolarità in crescita, questo gli consente di raggiungere un numero "monstre" di visualizzazioni nonostante l'ora tarda.
Ieri è stata la volta di Matteo Renzi. Preceduta da un messaggio inviato via app è partita la sua diretta che ha toccato un picco di 12 mila utenti contemporanei per un totale di 500 mila visualizzazioni. Eppure Renzi è andato "in prima serata" (erano le 21 circa quando ha parlato) e la sua "user base" su Facebook è la stessa di Di Maio 1,1 milioni, non gli è bastato: si è fermato a un ottavo di Salvini e a un quarto di Di Maio.
Leggere la situazione politica attuale attraverso questi numeri ci può dare un'indicazione su dove stia andando l'Italia, quella che non c'è ancora nei sondaggi, quella che proietta Salvini verso il sorpasso sui 5 Stelle, quella che ci dice che il "Re Mida" della rete non è più Matteo Renzi, abbandonato dagli elettori e dai suoi follower, incapace a recuperare il bandolo della matassa.
Renzi non riesce più a parlare agli italiani, non intercetta più le istanze di chi l'aveva votato: peggio, ha smarrito la capacità di usare la rete.
Sì, perché mentre da una parte Lega e 5 Stelle, attraverso un network di "pagine fan" costruivano, dal basso, le istanze per poi andare sui media mainstream a cavalcarle, dall'altra parte Matteo Renzi ha schiacciato il PD in una logica top-down che mal si addice all'epoca contemporanea (la stessa che sta usando Calenda per comprenderci).
Il XXI secolo non è il tempo delle risposte calate dall'alto ma dei bisogni che emergono dal basso (con tutto quello che ciò comporta). Saper stare in rete vuol dire intercettare e veicolare questi bisogni. Vuol dire ascoltare il paese che non è più nei salotti televisivi. L'abbiamo scritto il 5 marzo, lo ripetiamo ora: guardare Porta a Porta non è più lo specchio della rete. Vuol dire guardare una rappresentazione distorta, vuol dire non capire e non conoscere l'Italia.
L'Italia si è formata con le pagine "Sesso, droga e pastorizia", "Welcome to favelas" e "Roma fa schifo". È in quegli ecosistemi che è cresciuta la rabbia e la sfiducia verso quelle che Salvini definisce "le élite". Che poi definire élite quelli che non hanno visto arrivare la contemporaneità è un'offesa a chi in passato ha guidato questo paese.
Non sono élite quelli che hanno subito la logica della rete, sono semplicemente degli ignoranti, nel senso più nobile del termine: coloro i quali hanno, per scelta o incapacità, ignorato una parte di paese che ora si ribella.
Così mentre i talk di politica perdevano audience le dirette di Salvini diventavano la nuova comunicazione e mentre gli spettatori si spostavano dalla Rai a Facebook c'era chi mangiava pop corn.
Gli strumenti per capire, ascoltare e costruire c'erano tutti: chi non l'ha fatto si assuma oggi le responsabilità del disastro.