Il 6 giugno 2012 non sarà ricordato come uno di quei giorni che hanno cambiato il corso degli eventi del nostro Paese. E su questo ci sono pochi dubbi. E' stata una giornata come le altre tutto sommato, l'ennesima dimostrazione di una politica incapace di recuperare quella dignità persa in anni di malcostume e di indecenza. Prima le nomine AGCOM, tra lottizazione e spoil system, secondo una logica da Prima Repubblica con il solito autolesionismo del centrosinistra che, come notava anche un giustamente indignato Ignazio Marino, "non sarà determinante nello scrivere le regole per l'assegnazione dei nuovi sei canali digitali che l'authority dovrà indicare entro l'estate" (guarda un po'…). Poi le nomine dell'Authority per la privacy, con lo stesso canovaccio e con l'aggravante di una valutazione paradossale dei curricula, dal momento che le scelte non sembrano davvero riferibili a "esperti di riconosciuta competenza delle materie del diritto o dell'informatica".
Ma la giornata gloriosa della politica italiana non finisce qui. C'è infatti da formalizzare l'ennesimo capolavoro con il no del Senato alla misura cautelare per Sergio de Gregorio, capovolgendo le indicazioni della Giunta in ossequio ad una concezione "particolare" di garantismo parlamentare e di trasparenza nelle decisioni (sarà strano, ma i franchi tiratori ad orologeria non ci hanno mai convinto). A margine la strenua resistenza di Roberto Formigoni alla guida di ciò che resta della Giunta Regionale della Lombardia, tra indagini, defezioni e nominati eccellenti che stanno mostrando tutte le loro qualità "politiche". Quello che resta del nostro Paese insomma è l'immagine di una politica che continua a mostrare il suo volto peggiore, indecente ed arrogante, pateticamente arroccata nella difesa delle proprie rendite di posizione e dei propri interessi.
Una politica angosciante verrebbe da dire. Ma è proprio dall'angoscia che paradossalmente potremmo e dovremmo ripartire. Citando Kierkegaard diremmo infatti che "l'angoscia è la possibilità della libertà", la consapevolezza di ciò che dovremmo fare per dimostrare di essere liberi, anche a costo di autodistruggerci. E noi sappiamo cosa fare: cambiare questa politica, cambiare questo Paese. E con l'obbligo di farlo senza scorciatoie raffazzonate e senza soluzioni semplici e improvvisate. Perché, forse, noi siamo migliori di questa politica.