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Opinioni

56 suicidi in carcere in sei mesi: se non ti accorgi che qualcosa non va sei parte del problema

Sembra che le morti in carcere facciano ormai parte del sistema, come i buchi per le ciambelle, e nessuno voglia farci niente. Sono 56 morti dall’inizio dell’anno, più due se ci aggiungiamo quelli che si sono lasciati morire di fame. Il penultimo, invece, si è soffocato con un sacchetto di plastica; quello di stanotte si è impiccato con il lenzuolo.
A cura di Saverio Tommasi
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Sasha Skochilenko, artista e musicista trentatreenne, in aula mentre attende un'udienza nel tribunale di Vasileostrovsky a San Pietroburgo, Russia.
Sasha Skochilenko, artista e musicista trentatreenne, in aula mentre attende un'udienza nel tribunale di Vasileostrovsky a San Pietroburgo, Russia.

Ho deciso di scrivere un articolo sui suicidi in carcere, l'ho deciso ieri, era domenica. Perché 55 suicidi dall'inizio del 2024 sono un numero impressionante. Anche uno sarebbe troppo, ma 55 sono 55 volte troppo.
Mi sono svegliato oggi, lunedì, e un'altra persona detenuta si era ammazzata in carcere, questa notte, impiccandosi con un lenzuolo, così sono diventate 56 persone che dall'inizio dell'anno si sono tolte la vita in carcere. Non ci si può distrarre un momento, e qualcuno s'ammazza. Lo Stato, ad esempio, è distratto in modo perenne, guarda sempre da un'altra parte. Sarà l'estate, gli uccellini che cantano, il mare, le distrazioni sono tante ma è così tutti gli anni, tutto l'anno. Sembra che le morti in carcere facciano ormai parte del sistema, come i buchi per le ciambelle.

"Se non soffri non è un carcere", urla la vulgata più bassa. E allora se non c'è l'aria condizionata, se in cella le temperature d'estate possono superare i 40 gradi, sembra normale a quasi tutti. Sembra normale il cibo di bassa qualità, o insufficiente. La "casanza", cioè quello che "offre la casa", così le persone detenute chiamano il cibo della mensa. Sembra normale rimanere con la fame, e dover integrare quel cibo comprando qualcosa di tasca propria al "bettolino", lo spaccio del carcere, se si hanno soldi a sufficienza, sia chiaro. E quasi sempre siano comunque disponibili al "bettolino" solo cibi di bassa qualità, quasi solo snack e dolciumi, zeppi di zuccheri.
Sembra normale che più di qualcuno, in carcere, si suicidi.
Sembra normale che le persone detenute, in carcere, abbiano servizi igienici senza acqua calda, senza doccia e senza bidet, neanche per le donne. E allora non stupiamoci se qualcuno decide di farla finita.
Alle 56 persone che si sono uccise in cella in questi primi sei mesi e mezzo dell'anno, dobbiamo aggiungere due morti per fame, si rifiutavano di assumere cibo per protesta. Sarebbero perciò 58, se consideriamo anche loro.

Secondo Luigi Manconi, il numero delle persone detenute che si suicida, è sottostimato. Ad esempio le amministrazioni penitenziarie tendono a classificare alcuni fatti volontari come involontari. Pensate che tra i detenuti esiste la pratica dell'inalare il gas delle bombolette per alimenti, come droga per "sballarsi". Se un detenuto muore in queste circostanze sarà un'overdose involontaria, o la conseguenza di una scelta? L’amministrazione penitenziaria lo considera spesso un atto involontario.
In carcere si muore impiccandosi con il lenzuolo, oppure, come due giorni fa, soffocandosi con un sacchetto di plastica.

Poi ci sono quelli che non muiono, si fermano un attimo prima, ma è comunque dolore: atti di autolesionismo, ad esempio tagliandosi braccia, cosce, o prendendo il muro a testate. Per i sopravvissuti è previsto l’isolamento nelle celle cosiddette "lisce", cioè completamente vuote, oppure il ricovero in psichiatria, dove la persona viene immobilizzata a letto con cinghie ai polsi e alle caviglie, e imbottita di sedativi nell'attesa che abbandoni i suoi propositi suicidari. Parlare di inefficacia del trattamento, anche in questo caso, somiglierebbe a un eufemismo.

Quando parliamo di diritti delle persone detenute lo Stato si deconcentra, guarda il dito, osserva tutte le dita delle mani pur di non guardare la Luna neanche per un momento. E così, senza risposte, le persone in carcere smettono di coltivare un sogno, o anche soltanto una prospettiva, o un'idea, o una speranza piccina picciò.

Delle persone in carcere non interessa a quasi nessuno; le persone in carcere non portano voti, non portano simpatia, non fanno brand, non ci costruisci la campagna elettorale sopra se non soffi sull'odio, quello sì, funziona sempre.

Il caldo, il sovraffollamento, i posti letto in numero minore dei detenuti, e nonostante questo la solitudine; e poi la mancanza di progetti riabilitativi, l'idea che niente – anche quando usciranno – potrà migliorare la loro vita, è così che qualcuno concepisce l'idea di ammazzarsi. L'abuso costante di medicinali di ogni tipo, soprattutto antidepressivi, prescritti anche per "tenerli buoni". Qualche volta le botte di chi dovrebbe proteggerli, il giudizio su di loro di chi è fuori, la mancanza di opportunità lavorative, i pensieri, tanti pensieri tutto il giorno. Pensate che una persona detenuta passa in media, in cella, 20 ore al giorno. Non è strano pensare che qualcuno non ce la faccia e trovi il mondo per interrompere la sua permanenza in quel posto, e in qualsiasi altro posto sulla Terra.

In carcere si muore anche se ci lavori. Dall'inizio del 2024 sei agenti della polizia penitenziaria si sono tolti la vita. Anche questo è un numero impressionante.

La condizione di privazione, e più ancora di deprivazione, secondo moltissime persone, dovrebbe far parte del sistema carcerario. Per dirla semplice: "Se sei in carcere un motivo ci sarà e ti meriti tutte le brutture e le sofferenze. Il carcere non è un albergo". È un ragionamento fallace, in contraddizione con "Dei delitti e delle pene" di Cesare Beccaria, ma anche con le più recenti statistiche del Cnel del 2023, che mostrano una recidiva quasi azzerata per i detenuti a cui è permesso imparare un lavoro. Non è buonismo, ammesso che esista, è giustizia e prevenzione. Su 18.654 detenuti che hanno avuto la possibilità di un inserimento professionale, il numero di coloro che sono tornati a commettere un reato è scesa al 2%, contro una media che sfiora il 70%. Sono dati ufficiali e molto chiari: se vogliamo un'Italia più sicura dobbiamo investire sul futuro delle persone detenute. Trattarle in modo umano, dando respiro a Voltaire quando spiegava: “Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri”. In pratica un atto d'accusa al nostro modello detentivo.

Ricordiamolo: il lavoro in carcere è stato introdotto con l’articolo 15 della legge 26 luglio 1975, n. 354, e individua il lavoro come elemento del trattamento rieducativo, stabilendo, al secondo comma, che al condannato sia assicurata un’occupazione lavorativa. Oggi, secondo il rapporto Antigone, solo il 29,2% delle persone detenute lavora.

I detenuti hanno sbagliato, ma anche noi lo stiamo facendo.

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Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
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