video suggerito
video suggerito

13 settembre 1996: l’invenzione della Padania indipendente

Vent’anni fa Umberto Bossi proclamava, alle sorgenti del Po, l’indipendenza della Padania inventando un falso mito delle origini, dai connotati volutamente folkloristici, per dare saldezza e continuità al giovane movimento leghista.
A cura di Marcello Ravveduto
330 CONDIVISIONI
Immagine

A vederlo oggi non direste mai che quell’uomo ha rivoluzionato il sistema politico italiano introducendo una variabile indipendente e soprattutto rinnovando il patrimonio genetico della destra italiana. Sto parlando di Umberto Bossi, il truce vichingo “de noialtri” che in un ventennio ha radicato nel settentrione un partito locale in grado di influenzare la politica nazionale.

Sono passati vent’anni da quel 13 settembre 1996, quando il senatur, in forma smagliante con i capelli in stile contadino celtico, impone ai militanti della Lega (che lo accettano senza riserve) un rito pagano: il giuramento in nome del fiume Po, eletto a divinità, quale ispiratore e grande architetto della nazione Padana. Come si è arrivati a questo? Facciamo un passo indietro.

Nelle elezioni dell’aprile 1992, in pieno marasma di Tangentopoli e con l’avanzata della strategia della tensione mafiosa (il 12 marzo è stato assassinato il luogotenente andreottiano Salvo Lima), la Lega Lombarda (non ancora Lega Nord) si piazza inaspettatamente al quarto posto, dietro i tre principali partiti di massa (Dc, Pds (già Pci), Psi) che hanno tenuto le redini della Repubblica sin dalla sua nascita.

Oltre tre milioni di voti ovvero l’8,65% dell’elettorato. Un consenso tutto concentrato nelle valli alpine (da est ad ovest) e nella parte alta della pianura padana. La Lega rappresenta la voce più acuta dei moderni ceti urbani settentrionali che lamentano una profonda insoddisfazione nei confronti dei tradizionali interlocutori politici. Una critica radicale che, avanzando dal nord del Paese, impone la ricerca di nuovi sbocchi parlamentari. La spinta proviene, soprattutto, dalla galassia delle piccole e medie imprese (la Terza Italia) che ha beneficiato – grazie alla elevata soglia di tolleranza pubblica intorno all’evasione fiscale – della crescita economica degli anni Ottanta.

Una domanda di cambiamento che trova la sua naturale sistemazione in un nuovo soggetto politico presentatosi agli elettori, già nel 1989, come una forza di contrapposizione al potere dei partiti romani. In principio la collocazione rispetto allo scacchiere parlamentare non è di destra, né di sinistra, si vuole piuttosto conquistare una platea trasversale e interclassista di cittadini settentrionali stufi di pagare le tasse e orfani delle appartenenze ideologiche. Finisce il comunismo e comincia il leghismo. Un credo che fomenta la lotta al centralismo assistenzialista, utilizzando il Sud come capro espiatorio. All’anticomunismo, invece, si sostituisce l’antistatalismo, il localismo, il secessionismo sostenuti da un imperante voglia di deregulation.

I partiti fingono di non vedere, al massimo criminalizzano il voto leghista che lentamente aggrega un blocco sociale in cui si riconosco tanto il piccolo padroncino evasore del nordest (già elettore democristiano), quanto l’operaio della Fiom del nordovest (già elettore comunista), privato della identità classista. La Lega è il frutto amaro di una distorta “ideologia del benessere”, l’unica vera barriera che ostacola ogni progetto di riforma. Il senatur è figlio della corsa ai consumi, cominciata negli anni del boom economico, che ha progressivamente risucchiato ogni categoria sociale dilatando il ceto medio smisuratamente; un imborghesimento di massa che ha omologato gli stili di vita e annullato i valori etici, accentuando la pulsione individualista di autonomia economica, assecondata dalla spesa pubblica.

Nel 1994 la Lega affronta le elezioni alleandosi con il nuovo soggetto politico della destra liberista, Forza Italia. Sul piano nazionale la percentuale è simile a quella del biennio precedente ma grazie al radicamento territoriale, ormai omogeneo dal Veneto al Piemonte, riesce a conquistare numerosi collegi uninominali entrando nella compagine governativa. Da forza antisistema a forza di governo in soli 5 anni dalla prima apparizione sullo scenario politico nazionale. Ma il giro di giostra dura meno di un anno. Sarà proprio la Lega a staccare la spina dopo essersi resa conto di quale pericoloso concorrente sia Berlusconi che, nelle regioni settentrionali con il suo carisma e la sua sofisticata macchina di propaganda, è in grado di mangiare in un solo boccone l’elettorato casareccio e pragmatico mobilitato contro “Roma ladrona”.

A Bossi, in attesa di nuove elezioni, non rimane che prendere le distanze dalle due coalizioni principali (centrodestra e centrosinistra) per tornare a battere con maggiore forza il suo main stream: l’antimeridionalismo. Sono i meridionali e le loro lobby di potere mafioso che hanno sottratto denaro al Nord per trasferirlo ai parassiti malavitosi del Sud. Il Mezzogiorno è il bubbone d’Italia, responsabile del debito pubblico, dei disservizi collettivi, dell’inefficienza della burocrazia (nelle mani di impiegati meridionali assunti con criteri clientelari), della corruzione dilagante, della tolleranza verso gli immigrati che portano disordine e criminalità. Insomma, il futuro del Nord è in pericolo a causa dei “terroni” che non hanno voglia di lavorare e che rischiano di trascinare fuori dall’Europa le ricche regioni settentrionali. Perciò meglio staccarsi da questa Italia, inventando, magari, una identità etnica improbabile capace di giustificare la campagna secessionista dei padani che vogliono governare il proprio territorio con istituzioni parlamentari autonome nel nome di uno pseudo federalismo del basso ventre.

Nell’aprile 1996, intanto, la coalizione dell’Ulivo, guidata da Romano Prodi, vince le elezioni mettendo all’opposizione Bossi e Berlusconi. Uno degli obiettivi del governo di centrosinistra è l’aggancio dell’Italia all’area monetaria dell’Euro. Questo, secondo il senatur, è il momento giusto per reclamare l’indipendenza della Padania inscenando una grande manifestazione popolare dal sapore barbarico.

Il 13 settembre 1996 è un venerdì. Sono le ore 17. Il “popolo padano” è accorso al Monviso presso le sorgenti del Po in attesa del capo. Sono giunti con i loro stendardi e paramenti per il grande evento: la dichiarazione dell’indipendenza della Padania santificata dalla raccolta delle acque sorgive in un’ampolla che simbolicamente sarà alzata al cielo. L’ampolla arriva direttamente da Murano, disegnata e realizzata dal vetraio Massimo D’Este che si è ispirato ad un oggetto della tradizione celtica.

Da lontano si ode il rumore di un elicottero che annuncia l’arrivo dell’Umberto. Atterra a Pian della Regina. È talmente emozionato che non si accorge di pestare una merda di vacca. Non importa. Sale in auto e raggiunge Pian del Re. Mille occhi lo osservano attentamente mentre commette un altro errore: inciampa immergendo tutto il piede sinistro nelle acque del Po. Qualcuno lo coglie come un segno di predestinazione. Dopo aver riempito l’ampolla, cala il silenzio aspettando la sua parola: «Questa è acqua della Padania. Acqua sacra. Acqua cristallina. Acqua non mafiosa. Acqua che è dentro tutti i canneti, gli alberi, i bambini della Padania. Sarà portata da una staffetta di uomini e di acqua fino a Venezia». L’ultima frase o è un richiamo esoterico o è senza significato; fate un po’ voi.

Il giornalista danese Ole Sippel si chiede: «Non capisco se sto assistendo a un grande show o se invece questo è il primo passo di un grande cambiamento per l'Italia». Anne Hanley dell'lndipendent di Londra spiegherà agli inglesi di aver assistito «a uno spettacolo molto triste». Poi aggiunge: «Nel comizio di Bossi ho sentito parole come "tutti per uno, uno per tutti". Ma scherziamo? È roba ridicola sono cose che dice mia figlia di sei anni» (chissà quale sarà stato il suo pensiero dopo Brexit). Bossi, incurante dei commenti, prosegue diritto per la sua strada: con un piede sporco di cacca e una gamba inzuppata ritorna a Pian della Regina, dove ci sono circa duemila persone ad aspettarlo. Prende la parola: «Qui stiamo compiendo un atto illecito. Ma è un atto dovuto. Milioni di persone affluiranno da ogni valle e città sulle rive del grande fiume, il Grande drago Po». La folla applaude e intanto cala la sera.

L’ampolla viaggia fino a Venezia per essere versata nella laguna. Durante il trasferimento qualche sparuto gruppo di militanti si raccoglie sul ciglio della strada, come quando si inneggiano gli idoli del giro d’Italia, per salutare il sacro scrigno. Lo storico tedesco George Mosse, autore delle “Origini culturali del Terzo Reich” e della “Nazionalizzazione delle masse”, intervistato dal Corriere della Sera, commenta: «Questa storia dell'ampolla e delle marce in mezzo alla natura mi ricorda qualcosa. E tanto più dovrebbe provocare un soprassalto agli italiani. Le fiaccolate naziste, il culto della bandiera (non dimentichiamo che quella di Hitler era rossa, copiata dai marxisti) l'ovazione al capo, la gioventù in divisa. La mitologia leghista messa in scena sul Po è quanto di più vicino ai rituali politici fascisti io abbia sentito dalla fine della guerra».

Lo storico, però, si è sbagliato, la «mitologia leghista» non è nient’altro che un farsa tutta italiana. Un’opera di avanspettacolo ad uso e consumo dei media nazionali. In realtà, ben presto quelle immagini saranno accantonate negli archivi audiovisivi delle reti televisive insieme a milioni di altri fotogrammi ormai dimenticati. Quella di Bossi è una furbizia da politicante: prova a inventare una tradizione per inculcare determinati valori (il razzismo) e norme di comportamento (l’intolleranza) cercando di dare continuità al suo movimento che in quel momento è fuori dai giochi di potere. Si elogia un passato inesistente per allignare radici che non ci sono ma che hanno bisogno di essere rafforzate attraverso pratiche rituali e autocelebrative.

Oggi a vent’anni di distanza, guardando in Tv il faccione arrabbiato di Salvini e ascoltando i suoi slogan xenofobi, l’Umberto, con i suoi settantacinque anni e il passo claudicante, mi fa tenerezza perché nonostante tutto anche lui appartiene ad un’Italia che non c’è più.

330 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views