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Pirelli: per convincere Malacalza e fondi arriverà un rilancio?

Pirelli vola in borsa ben oltre i 15 euro offerti dai cinesi di ChemChina per i titoli in mano a Camfin. Secondo gli analisti il successo dell’operazione non è scontato: se vorranno arrivare al delisting i cinesi potrebbero dover rilanciare…
A cura di Luca Spoldi
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Pirelli continua a correre a Piazza Affari e vede stamane il titolo salire sopra i 15,50 euro per azione (dopo aver anche toccato in mattinata i 15,76 euro), un prezzo ampiamente superiore ai 15 euro offerti per l’Opa da China National Tire&Rubber e dalla sua controllante ChemChina (società statale cinese attiva nel settore dei pneumatici e dei fertilizzanti, oltre che in altre produzioni chimiche). Per dire la verità i 15 euro sono quanto offerto a Camfin per mettere le mani sul 26,2% con la quale la holding che da un anno e mezzo fa capo al gruppo russo Rosneft, dopo un’Opa lanciata nell’ottobre 2013 da Lauro 61 Spa, veicolo finanziario sinora controllato pariteticamente dai russi e da una cordata di soci italiani (Marco Tronchetti Provera, Sigieri Diaz, la famiglia Rovati, Unicredit e Intesa Sanpaolo), controlla il gruppo Pirelli.

Camfin ha accettato di cedere a tale prezzo i propri titoli ad un veicolo finanziario, BidCo, in cui i soci italiani reinvestiranno parte dei proventi della cessione della quota in Pirelli (così da risultare soci al 49,9% di BidCo) e che dovrebbe ora lanciare l’Opa sul restante 73,8% di titoli ordinari di Pirelli e sul 100% di titoli di risparmio, con l’obiettivo di arrivare al delisting del titolo, che distribuirà in ogni caso il dividendo 2014 (quello del 2013 fu pari a 32 centesimi per i titoli ordinari e a 39 centesimi per le risparmio) prima del passaggio del 26,2% di Pirelli da Camfin a BidCo (transazione che dovrebbe essere perfezionata entro la prossima estate). Perché allora in borsa il titolo continua a salire?

Perché per riuscire nella sua impresa (il delisting) a BidCo serve un’adesione superiore al 90% del capitale ordinario di Pirelli e comunque superiore al 66%, soglia minima per convocare un’assemblea straordinaria e procedere a una fusione tra BidCo e Pirelli, forzando il delisting di quest’ultima se non si fossero già realizzate le condizioni per arrivare all’addio del titolo dal listino italiano. Sotto i riflettori sono in particolare nuovamente i Malacalza: la famiglia di imprenditori di Bobbio con interessi in Liguria era stata chiamata da Marco Tronchetti Provera in Camfin e in Gpi (veicolo che controllava il 41,7% di Camfin ed era a sua volta controllato per il 55,4% dalla Mtp Sapa dello stesso Tronchetti Provera e partecipato al 31% dai Malacalza), ma dopo soli tre anni entrata in rotta di collisione per divergenze sulla gestione del debito di Camfin (che all’epoca conservava anche una partecipazione del 14% in Prelios, l’ex Pirelli Re).

Accreditati di oltre un miliardo di euro disponibile per investimenti nel 2012, i Malacalza premevano per ricapitalizzare Camfin, mentre Tronchetti Provera, abituato come tutte le “grandi famiglie” del capitalismo italiano a controllare le società iniettando il minimo indispensabile di capitali, non era d’accordo. Alla fine grazie anche all’appoggio della famiglia Acutis, dei Moratti e dei Rovati (e all’assistenza finanziaria fornita da Intesa Sanpaolo, Unicredit e dal fondo Clessidra di Claudio Sposito) era riuscita a spuntarla Marco Tronchetti Provera, e i Malacalza avevano accettato una “buonuscita” incassando 160 milioni per le partecipazioni in Camfin/Gpi, reinvestiti nel 6,98% di Pirelli (ceduto da Allianz e Fondiaria-Sai), partecipazione rilevata a 7,8 euro per azione.

Ora i Malacalza potrebbero provare a spuntare un prezzo migliore di quello già accettato da Tronchetti Provera e alleati, anche se sembrerebbe difficile credere che i cinesi, dopo aver convinto sia gli italiani sia i russi di Rosneft (che con l’operazione usciranno comunque con profitto, visto erano entrati in Camfin sulla base di una valutazione di Pirelli di 12 euro al titolo) dovranno cedere platealmente ad un singolo socio “dissenziente” per quanto qualificato. Eppure oltre ai trader, anche gli analisti qualche dubbio sembrano avercelo, come conferma una nota di Banca Akros emessa stamane in cui si legge che il successo dell’Opa “non può essere dato per garantito”.

Un modo per smussare l’eventuale ostilità dei Malacalza (e dei fondi, che sembrano attendersi un rilancio giudicando il “premio” rispetto alle ultime quotazioni di Pirelli ante annuncio Opa troppo modesto) in realtà ci sarebbe: visto che Pirelli di recente ha ceduto il business delle cordicelle d’acciaio utilizzate per i pneumatici “cinturati”, il dividendo potrebbe salire attorno a mezzo euro per azione. A quel punto potrebbe bastare migliorare di un euro l’offerta di BidCo per raggiungere una valutazione di circa il 15% superiore ai prezzi a cui trattava Pirelli prima dell’annuncio dell’operazione, un livello abbastanza consueto per questo genere di operazioni sui mercati esteri.

Un simile rilancio richiederebbe di alzare da 7,1 a 8-8,1 miliardi da valutazione di Pirelli, con conseguente necessità di rafforzare le fonti di finanziamento dell’operazione. Sarebbe comunque un livello ancora conveniente, visto che Pirelli, in vista dell'eventuale raddoppio dei volumi di pneumatici prodotti, da 6 a 12 milioni l'anno, derivante dall'eventuale integrazione con Aeolus (partecipata da China National Tire & Rubber), viene valutata dagli analisti del Credit Suisse poter valere 18 euro per azione (22 euro per azione tra un paio d'anni). Con tassi vicino a zero sui bond non dovrebbe essere un problema trovare banche interessate a prestare i capitali ad un interesse certamente maggiore, magari anche garantendosi con la sottoscrizione di una parte del capitale della Newco.

Del resto se le cose andranno per il verso giusto tra quattro anni la nuova Pirelli dovrebbe riaffacciarsi sul listino italiano, facendo tornare il marchio Pirelli in borsa, sempre sotto la guida di Marco Tronchetti Provera (destinato a rimanere l’amministratore delegato del gruppo anche una volta che il controllo sarà cinese). L’ipotesi è affascinante e indicherebbe che al di là della nazionalità del “controllo” sul capitale di un grande gruppo industriale quello che conta sono le competenze che si sarà stati in grado di acquisire/potenziare, a fianco di una razionalizzazione delle attività (le famose “sinergie”) che a volte proprio un controllo non italiano rende meno problematiche da gestire per le società operanti nel “bel paese”.

In caso contrario, del resto, saranno gli attuali soci di Camfin a poter esercitare una opzione “put” che consegnerebbe l’intero capitale di BidCo/Pirelli in mano ai soci cinesi, ipotesi che di certo non farebbe piacere né ai sindacati né alla politica italiana. C’è da scommettere che entrambi queste parti sociali saranno dunque propense a qualche concessione ai nuovi proprietari pur di scongiurarla, concessioni che potrebbero essere già state messe in conto da chi ha valutato le potenziali sinergie derivanti dal passaggio di Pirelli sotto il controllo del gruppo ChemChina.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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