Pino Maniaci indagato: “Minacciato non dalla mafia ma dal marito della sua amante”
Dicembre 2014. Tutta l’Italia si stringe attorno a Pino Maniaci, il direttore di Telejato diventato in questi anni un simbolo dell’antimafia. L’ennesimo atto intimidatorio “di Cosa Nostra” nei confronti del giornalista, cui erano stati impiccati i due amati cani e a cui era stata bruciata l’auto, spingono anche il presidente del Consiglio ad esprimergli solidarietà. “E’ stata la mafia a minacciarmi per le inchieste del mio tg” dice Maniaci. “Dovete darmi la scorta” ribadisce. Le cose però starebbero molto diversamente. Almeno secondo quello che emerge dalle intercettazioni dei carabinieri della Compagnia di Partinico. Innanzitutto in quella storia di intimidazioni, la Mafia non sembra c’entrare proprio niente. Si tratterebbe di un vicenda personale, legata a questione sentimentali che il giornalista avrebbe utilizzato per “arricchire” la sua immagine di giornalista antimafia. Dalle intercettazioni dei carabinieri emerge un quadro inquietante della figura di Maniaci: si definiva una "potenza", sosteneva di essere in grado di "mandare a casa" chi non faceva come voleva lui, e irrideva le solidarietà ricevute per presunte minacce da Cosa Nosrta, anche quella del premier Renzi: "Mi ha chiamato anche quello stronzo…" avrebbe detto con riferimento al presidente del consiglio.
Pino Maniaci risulta indagato per estorsione nei confronti dei sindaci di Partinico e Borgetto: in cambio di soldi (si parla di somma intorno ai 200/300 euro) e favori avrebbe evitato commenti critici sull'operato delle amministrazioni comunali. Denaro ottenuto, come sostiene l'accusa, con la minaccia. Più nello specifico il direttore di Telejato è accusato di aver estorto al sindaco Salvatore Lo Biundo anche un’assunzione per la sua amante. Un contratto di solidarietà al Comune per tre mesi: “Alla scadenza, non poteva essere rinnovato – ha ammesso il sindaco interrogato dai carabinieri – ma Maniaci diceva che dovevamo farla lavorare a tutti i costi e allora io e alcuni assessori ci siamo autotassati per pagarla”. E in un'intercettazione con la donna, Maniaci faceva ben intendere il suo potere di modificare le volontà degli amministratori: Per quella cosa ho parlato, già a posto, stai tranquilla, si fa come dico io e basta. Qua si fa come dico io se ancora tu non l’avevi capito… decido io, non loro… loro devono fare quello che dico io, se no se ne vanno a casa”. Il giornalista, quando nei giorni scorsi trapelò la notizia che era finito sotto inchiesta, replicò parlando di “vendetta, un agguato per il lavoro che abbiamo fatto e che facciamo ancora oggi contro il malaffare e l'illegalità anche all'interno della magistratura”. A Maniaci è stato notificato il divieto di dimora nel comune di Partinico.
Come gli inquirenti sono arrivati a Pino Maniaci
Al giornalista i carabinieri del Comando provinciale e del Gruppo di Monreale, che indagavano suoi presunti boss della cosca di Borgetto, nel Palermitano, sono arrivati un po’ per caso. L'inchiesta è cominciata nel 2012 con i militari che monitorano la famiglia mafiosa, in particolare Antonino Giambrone, e i suoi due fratelli Tommaso e Francesco. Gli elementi acquisiti svelano il ruolo di comando di Giambrone e le dinamiche interne al clan. Nel febbraio del 2013 Nicolò Salto, storico esponente mafioso in opposizione allo schieramento della famiglia Giambrone, viene scarcerato. Salto, una volta libero, tenta subito di imporsi sul territorio, come documentano le denunce di danneggiamenti di alcuni imprenditori locali. Nell’aprile del 2013, Antonino Giambrone viene arrestato nell’operazione “Nuovo Mandamento”. Poco dopo, in un incontro su Corso Roma di Borgetto, Nicolò Salto rassicura il padre di Antonino Giambrone che il figlio non sarebbe stato abbandonato. L’incontro segna una interruzione della faida e l’inizio di una sorta di collaborazione tra clan rivali e l’affermazione di Salto. In tale ottica le indagini hanno permesso di documentare l’interesse della compagine mafiosa a condizionare le scelte amministrative del comune di Borgetto, con particolare riguardo all’esecuzione di alcuni lavori pubblici. Ed è proprio in tale contesto che è stata documentata la condotta di Pino Maniaci che ne ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati.
Gli scoop sensazionali mai andati in onda (in cambio di soldi?)
In particolare, come scrive Repubblica, l'attenzione dei magistrati di Palermo sulla figura di Maniaci si è concentrata all'indomani di una registrazione della telecamera piazzata dai carabinieri nella stanza del sindaco di Borgetto Gioacchino De Luca. La scena è quella di un Maniaci che esordisce: “Benedetta liquidità, sborsate…”. Quindi il giornalista che distende il braccio e fa un cenno con la mano. Poi dice: “Mi dai 250 euro”. E il primo cittadino chiosa: “Si, 400 te ne devo dare”. Una scena che lasciò investigatori e magistrati perplessi. Perché quei soldi? Alla ricerca di una risposta i magistrati di Palermo decisero di mettere sotto controllo il telefono di Maniaci. In un'altra occasione il simbolo della lotta alla mafia parla di uno ‘scoop sensazionale', che avrebbe portato allo scioglimento del consiglio comunale. Salvo Palazzolo scrive di "uno scoop mai andato in onda. Forse era solo un bluff. Di sicuro, nella calda estate del 2014 il direttore di Telejato parlava spesso al telefono con l’addetto stampa di De Luca. Che poi riferiva al sindaco: ‘Mi ha fatto 12 mila telefonate chiddu'. Maniaci chiedeva qualcosa. Ma cosa? Ancora i carabinieri non lo sapevano. Il sindaco diceva al suo addetto stampa: ‘A posto, ci dici che di qua a questa sera è tutto fatto, non c’è problema'. L’addetto stampa: ‘Gli dico che passa dalla Carcara e se li viene a prendere più tardi?… Faccelo ora perché questo è un pazzo di catena'. Una telefonata dai toni concitati: ‘Ma è a posto, domani glielo diamo, tranquillo, senza nessun problema… Ma oggi non ha fatto nessun servizio?'”. Risposta dell’addetto stampa: ‘La metà l’ha fatto, questo non lo ha fatto'".